Il disubbidiente anomalo*

13 Giu 2007

Un bellissimo libro “Il fratello comunista”. Come sia definibile è difficile dirlo: un insolito saggio; un apologo; un racconto; una confessione; un pezzo di storia del Novecento tra guerre, rivoluzioni, comunismo, fascismo, liberalismo; un’analisi psicoanalitica con due pazienti; un monologo interiore crudo e insieme affettuoso; una lezione; un parlare arduo e liberatorio con il fratello morto; un’opera poetica; una voce sommessa, ma interiormente alta che spezza i silenzi di una vita; un lungo riflettere su se stesso, sul padre, sul fratello maggiore; una ricerca del passato senza nostalgia, ma fervida di affetti; un trattatelo di politica; una laica preghiera.
Forse il libro di Giovanni Ferrara è tutto questo insieme. Specchio nitido di quel che è stato l’autore, un maestro naturale di grande cultura, prodigo nel donare i suoi saperi – la storia, la politica, la musica, tutto ciò che riguarda l’uomo – con sorridente saggezza e levità di stile.
Aveva sempre una risposta. Non esibiva mai quelli che vengono chiamati i valori, li manifestava nella pratica del vivere: lo spirito di libertà, soprattutto e l’ansia di giustizia. E’ anche un testamento, “Il fratello comunista” che Giovanni finì di scrivere prima di morire e andrebbe meditato nel profondo in questo mondo di oggi così sciatto e – la citazione è sua – imbestiato, come direbbe dante.
Aveva il destino, non soltanto politico, segnato nel nome, Giovanni Ferrara. “Fui chiamato Giovanni in ricordo di Amendola – scrive – Giacomo in ricordo di Matteotti, e Piero in ricordo di Godetti.

E’ una fortuna che i fascista non abbiano ammazzato anche Salvemini, mi diceva talvolta mio padre, in uno dei momenti d’umor nero, ‘altrimenti ti avrei chiamato anche Gaetano’”.
In questi anni si parla dell’antifascismo come di un arcaico concetto da rimuovere, da cancellare. Era fuorimoda, Giovanni: “L’antifascismo – scrive – non fu e non è, né un mito di parte né un’invenzione retorica postuma, ma una delle poche realtà profonde – ideali, politiche, morali, e persino psicologiche – nella storia del nostro paese”.
E’ necessario partire dal padre, in questa storia familiar-nazionale: Mario Ferrara, avvocato penalista illustre, arrivato a Roma dalla Sicilia, come il nonno, anche lui avvocato. Giovanni è polemico con chi sostiene, cinicamente compiaciuto – storici, giornalisti – che in Italia, nel ventennio tutti erano fascisti. I suoi genitori – e con loro altri che ebbero vita difficile – non lo furono mai. Il padre rifiutò sempre la tessera del fascio e ne pagò le conseguenze. Subì minacce, pedinamenti, controlli, perquisizioni. Ebbe la vita professionale troncata. Non potè esercitare né in Corte d’appello né in Cassazione, si dovette accontentare, lui avvocato di fama, delle piccole cause di pretura. Faticò a tirare avanti la famiglia che aveva vissuto nel benessere e di colpo fu povera, costretta, per risparmiare, a trasferirsi in un paese fuori Roma. Legato a Giovanni Amendola, aveva scritto sulla Rivoluzione liberale di Godetti e poi sul Mondo amendoliano.

Dal 1924 ala liberazione di Roma, vent’anni dopo, fu costretto al silenzio. Nel dopoguerra scrisse sul Risorgimento liberale e poi sul Corriere della Sera di Emanuel e poi di Missiroli che abbandonò con questo commento: “In chiesa coi santi e in taverna coi bricconi”.
Amendoliano e poi crociano fu un antifascista intransigente, fedele per tutta a vita ai suoi principi e alle sue idee. Fu un uomo coraggioso, perseguitato, ma anche rispettato. Difendeva le vittime del regime fascista davanti al Tribunale speciale. C’è nel libro il racconto emozionante del processo celebrato nel 1940 contro un grupo di dirigenti del partito comunista clandestino che la polizia era riuscita ad arrestate grazie a una spiata. Tra gli altri Aldo Natoli, Bruno Corbi e Pietro Amendola, figlio di Giovanni e fratello di Giorgio. Mario Ferrara, quella volta, portò con sé il diciannovenne figlio Maurizio che non aveva particolari predilezioni politiche. Perché?, si domanda Giovani nel suo rimuginare. “Per far vedere al ragazzo di quale padre era figlio? – scrive – O piuttosto pensava che ormai fosse giunto il momento di mostrare al figlio cos’era un tribunale fascista nell’esercizio delle sue funzioni, mentre giudicava un gruppo di giovani in catene per aver creduto in un’altra fede, testimoni, quale che fosse la fede, della libertà oppressa?”
L’arringa difensiva di Mario Ferrara suscitò scandalo e reazioni: “Dopo aver parlato quel poco tempo che gli era concesso, rivolto ai giudici concluse la sua difesa di quei giovani comunisti, con la famosa chiusa dell’ultimo discorso di socrate: “Ed ecco, è ora di andare: io a morire e voi a vivere; quale che sia la sorte migliore, è a tutti ignoto.

Tranne che al Dio”.
Nacque allora il comunista Maurizio Ferrara? Il libro è una tormentosa ricerca delle ragioni delle scelte umane e politiche. Scrive Giovanni Ferrara, minore di sette anni del fratello: “La difesa di un gruppo di comunisti spinta da nostro padre, il “vinto” democratico librale, fino all’altezza della grande filosofia socratica della morte come scelta di verità, aiutò Maurizio che usciva dall’adolescenza ed entrava nella prima giovinezza, a intraprendere la via che fu poi dell’intera sua vita. E’ evidente che nella mente del ragazzo quei giovani che ora s’avviavano al carcere fascista avevano meritato che suo padre osasse tanto, perché s’erano battuti contro il fascismo per liberare i lavoratori dalle loro catene; in quelle ore, i comunisti questo e nient’altro dovettero essere per lui”.
Quello “strano padre liberale” gli aveva fatto capire il mondo offeso? Scrive ancora su quell’episodio Giovanni Ferrara come per suo fratello, nell’intimo del suo animo “l’antifascismo fosse, come per molti altri comunisti, una scelta di derivazione essenzialmente politica, sociale e culturale, bensì avesse nelle sue origini più vere quel semplice carattere di ribellione umana cotro l’oppressione e l’ingiusta violenza che ne faceva – e tuttora ne fa e sempre ne farà – un assoluto valore etico-politico in sé significativo”.
Giovanni Ferrara è stato l’erede del liberalismo paterno. Professore di storia antica nelle università, senatore per più legislature del Partito repubblicano di Ugo La Malfa di cui aveva somma stima, scrittore di tre libretti pubblicati da Sellerio – “Il senso della notte”, “La sosta”, “La visione”, poemetti in prosa, dialoghi interiori, rimeditazioni del mondo e della vita fatte con dolcezza, con malinconia, con incanto e disincanto, in sostanza l’anticipazione di questo libro su tre vite dedicate alla politica che un editore dovrebbe poter ripubblicare.

Autore anhe di un altro libro pubblicato nel 1983 da Rusconi, Apologia dell’uomo laico, un saggio di estrema attualità in quest’Italia di oggi dai rigurgiti clerico-papalini. Giovanni Ferrara è stato anche un intelligente giornalista, prima al Mondo di Mario Pannuzio, poi su la Repubblica che contribuì a rendere autorevole.
Maurizio Ferrara è stato invece il comunista di marmo fedele al mito di Stalin anche quando ne conobbe gli spaventevoli delitti. Gappista, durante la Resistenza a Roma corrispondente dell’Unità da Mosca negli anni della guerra fredda, presidente della Regione Lazio, autorevole dirigente del Pci, senatore per più legislature.
Il conflitto tra i fratelli è antico. Sembra che Giovani, fin quasi alla fine, non voglia credere ceh Maurizio è così diverso da lui. Com’è possibile, pensa con amarezza, che Maurizio sia un fideistico adoratore di Stalin, guida dei popoli, grande rivoluzionario, immortale maestro?
Sono inconciliabili tra di loro il mondo liberale di Giovanni, legato da un lato alle memorie dell’Italia risorgimentale, dall’altro alla Costituzione della Repubblica e il mondo comunista di Maurizio con l’occhio fisso all’Unione sovietica. Corretto in parte dalla via italiana di Togliatti e soprattutto di Berlinguer così disamato oggi dagli epigoni del Pci: la sua serietà, il suo ribadire costantemente la preminenza della questione morale come questione politica vengono considerati un colpo al cuore della modernità.
Maurizio non ama Kruscev.

C’è nel libro di suo fratello una scena illuminante. Erano i mesi, i giorni della pubblicazione del “apporto segreto” sui “crimini di Stalin”: “Una domenica, quasi all’ora di pranzo, il campanello di casa sonò. Andai ad aprire io e me lo vidi davanti, Maurizio, pallido in viso e immobile. Restammo un attimo a guardarci, poi, muovendosi per passare la soglia, disse a voce alta una sola parola che cinquant’anni dopo mi risuona nella mente: “Termidoro!”. Termidoro. Sappiamo, e sapevo, cosa significa Termidoro nel linguaggio della tradizione rivoluzionaria: è la fine della rivoluzione” (…) Termidoro! Dunque non era d’accordo. Ma come poteva non essere d’accordo? Era il Pcus che parlava, non la stampa reazionaria del’Occidente capitalista”.
Tutta una vita tra baruffe, litigi, silenzi, riappacificazioni in nome dell’affetto. Tra l’erede del padre, liberale nel significato autentico che deve avere la parola, così lontano dall’uso aberrante fatto oggi da agglomerati eversivo-reazionari che adoperano la politica in nome di interessi personali assai poco nobili, e il fratello comunista che crede in quella rivoluzione fallita, che non si riprende più dopo la morte di Stalin, uno che ha mai ben capito che cosa è la libertà e alla fine della vita deraglia e lascia un fondo di amarezza anche in chi, pur non condividendo le sue idee, ha apprezzato la sua intelligenza e il vigore della sua vita.
La vicenda di Maurizio, confessa Giovanni in una pagine del libro “è sempre stata un risvolto decisivo della mia.

E così avvenne alla fine che lui, per quarant’anni alla mia sinistra, si trovò alla mia destra”. Inclinando “tra dubbi e certezze verso una sorta di socialismo, quasi anti-comunista (vagamente craxiano, appunto). Quando poi sopraggiunge l’era Berlusconi, lui con me si fece misterioso (d’un mistero di cui capivo benissimo le ragioni ma non riuscivo ad afferrare la complessità, che pur s’intuiva) il parlar di politica scomparve tra di noi se non per argomenti ovvi e innocui. Umana sensibilità e tatto mi consigliavano d’evitarlo e io credo che lui me ne fosse grato”.
Avviene tra i due fratelli un capovolgimento delle parti. Il realismo di Maurizio, nato alla scuola di Togliatti, lo portava verso destra. “Mentre – scrive Giovani – il mio liberalismo (non “liberismo”) d’origine idealistica e crociata – dagli anni Sessanta fortemente influenzato dall’”azioniamo” repubblicano di Ugo La Malfa – portava me verso sinistra”. Mentre in Maurizio esplodeva in modo accecante la superiorità politica, economica, sociale e culturale della liberaldemocrazia sul tradizionale comunismo di origine marxista-leninista e poi stalinista, in Giovanni, un disubbidiente anomalo “accadeva – scrive – d’avvertire sempre più forte l’antica insofferenza, per anni e anni di Guerra fredda a forza sepolta, per l’inevitabile tendenza di quella stessa liberaldemocrazia a colorarsi di destra, se non è intesa tenendo fermo l’originario significato sociale della democrazia”.
Ci sono, in questo libro, poco dopo l’inizio, pagine che solo un grande scrittore poteva scrivere.

La moglie di Maurizio, stravolta, va a chiamare Giovanni: “Per favore vieni, forse solo tu puoi parlargli, ti prego”. Giovanni trova il fratello in lacrime. Piangeva tacendo, con un fazzoletto bagnato in mano come un bambino: “E’ tutto finito, finito. Tutto cancellato, non resta niente, niente di niente. (…) Abbiamo sbagliato tutto fin dall’inizio, fin dal ’17!”.
Giovanni usa somma pietà. Anche il fratello vincitore nella disputa politica durata decenni si sente sconfitto davanti a quel grande dolore.
“Il fratello comunista” è una miniera di memoria, storia, cultura, fatti della vita. Adesso che nell’ossessivo concerto mediatico non si discute più di nulla, si forniscono soltanto, in nome della propria visibilità, mezze frasi slegate, battute, slogan, si capisce quale può essere la forza della parola, la forza di un libro come questo scritto nel profondo dell’anima. Grazie.
* Questo testo è stato letto dall’autore nel corso della presentazione del libro “Il fratello comunista”, a Milano, al Teatro dal Verme, il 13 giugno 2007.

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