Berlusconi in Telecom: le nostre obiezioni

26 Apr 2007

Processo Sme, assolto Berlusconi // Perché si dovrebbe essere contrari ad un ingresso di Berlusconi nell’azionariato Telecom, in posizione di minoranza? Questa la domanda, di natura retorica, che autorevoli esponenti del mondo politico e finanziario ci pongono dalle pagine dei giornali. Proviamo a rispondere, attingendo alla memoria della storia recente e cercando di trarne qualche strumento per prevedere le conseguenze dell’auspicato ingresso.Anzitutto, ci si consenta di rammentare che Berlusconi non è un qualsiasi imprenditore presente sul mercato italiano, bensì l’imprenditore che per primo in maniera totalizzante ha intrecciato lo svolgimento della propria attività economica con l’assunzione di un ruolo politico di primo piano: B è indissolubilmente un imprenditore-politico, sotto più profili. In primo luogo, l’attività economica di B si svolge in un regime di concessione pubblica (la concessione per l’esercizio dell’emittenza televisiva nazionale e l’ottenimento delle necessarie frequenze, che sono un bene pubblico); ne deriva che il contenuto delle norme che regolano tali concessioni è di decisiva importanza per la redditività economica della sua attività imprenditoriale. Sappiamo bene quale rilevanza hanno avuto per Berlusconi le sue battaglie per far sì che il Parlamento italiano approvasse leggi in materia radiotelevisiva favorevoli alle sue televisioni.

Battaglie – tutte sostanzialmente vinte dal 1990 ad oggi – che lo hanno infine condotto a fondare un partito e diventare in prima persona un protagonista politico. Protagonista che tuttora B è, nonostante non sia più al Governo.Queste ragioni già da sole ci sembrano sufficienti a considerare inopportuno l’ingresso di SB nell’azionariato di un altro potentato economico, parimenti operante in regime di concessione pubblica ed altresì di sostanziale monopolio, nel settore della telefonia fissa.Occorre inoltre ricordare che – dal 1990 ad oggi – la situazione di monopolio nell’emittenza televisiva privata goduta da B, e che gli ha procurato e gli procura ingentissimi ricavi, è stata più volte giudicata dalla Corte Costituzionale e, più di recente, dall’Autorità Antitrust e dall’Autorità delle Comunicazioni come lesiva del pluralismo garantito dall’art.21 della nostra Costituzione e della concorrenza nei mercati di riferimento. E che B personalmente ed insieme a suoi collaboratori è stato ripetutamente imputato in processi penali per reati attinenti lo svolgimento della sua attività imprenditoriale, per risolvere i quali sono state nella scorsa legislatura approvate le famigerate leggi ad hoc (che il centro-sinistra si è solennemente impegnato ad abrogare).Anche queste ci paiono ragioni sufficienti per non condividere l’iniziativa di chi – certo per fini lodevoli – vuole inserire B tra i protagonisti di una “cordata italiana” che rilevi la partecipazione di Olimpia in Telecom.Si obietta che la legge oggi in vigore impedisce a Mediaset di possedere più del 10 per cento dell’azienda telefonica: viene spontaneo rammentare che B le regole le ha fatte e disfatte – dal 1990 ad oggi – come meglio serviva al bene delle sue aziende, mostrando una spregiudicatezza, una determinazione ed una consapevolezza dei suoi obiettivi che impongono di considerare il comma in questione del Testo unico radiotelevisivo come un ostacolo risibile ad eventuali mire di controllo.Del resto, la capacità e l’attitudine di B a piegare la politica e le leggi all’utile delle sue aziende sono ben note al centro-sinistra, che si dibatte nella necessità di negoziare l’approvazione di norme più civili in tema di antitrust televisivo e di conflitto di interessi, dopo aver dichiarato per anni di considerare entrambe le questioni come delle priorità.E allora perché proprio il governo di centro-sinistra si caccia nell’ennesimo ginepraio, offrendo a B di entrare nell’azionariato Telecom – in cambio di nulla, si badi – ed esponendosi ad ovvie critiche di incoerenza ed anche di imprudenza, posto che la mossa non può che aumentare la capacità di influenza politico-economica di B? Si sente parlare di tutela dell’italianità di Telecom: ci si permetta di dissentire radicalmente da un concetto del quale non sono affatto chiari né i contenuti né tantomeno il valore.

Al cittadino italiano importa che i servizi telefonici siano efficienti, tecnologicamente adeguati e che i loro costi non siano eccessivi mentre non importa affatto se la titolarità del 18% di Telecom appartiene ad un soggetto italiano, europeo o americano. Al contrario, verrebbe da pensare che non possiamo che rallegrarci se grandi aziende straniere vengono ad investire in Italia.Infine, non si può chiedere all’opinione pubblica di ignorare che la gestione di Telecom tuttora in essere, benchè italiana, si è caratterizzata per inefficienza, scarso rispetto dei consumatori, grave pregiudizio arrecato agli azionisti di minoranza e addirittura uso delle risorse aziendali per condurre indagini illecite ai danni di centinaia di ignari ed innocenti cittadini.Non ci pare, insomma, che il fine dell’”italianità” possa far dimenticare le ragioni per cui non è, a nostro avviso, affatto auspicabile un ingresso di B in Telecom, tanto meno in una fase in cui il Parlamento sarà chiamato ad esaminare alcuni progetti di legge di grande rilievo che lo riguardano direttamente, quali il disegno di legge Gentiloni sulle televisioni e la legge sul conflitto di interessi.
*Presidente del Consiglio di direzione di LeG e membro del Consiglio di presidenza.

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