Laici e cattolici: prove di confronto alla Scuola di LeG

26 Mar 2007

Il segno di un debole legame con una speranza vaga, e coltivata lontano da me: una tessera! E qualche titolo sui giornali. Nessun contatto con i soci, nessun progetto condiviso. Per oltre un anno Leg per me non è stata altro. Finché non vengo a sapere della scuola. Prima ancora di conoscere contenuti e programmi la decisione è presa: partecipare è un bisogno interiore, quasi l’esigenza di una igiene mentale. Non temo più di tanto la selezione: quel criterio fondato sulla distribuzione territoriale, anzi, è una speranza, e così infatti sarà. Ed è subito grande amore, subito, dalla prima ora del primo giorno. In pratica è andata così. Io sono un cattolico, di quelli cioè che ispirano alla fede cattolica le proprie scelte politiche, e, dunque, il mio pensiero dispone di alcuni punti fermi indiscutibili. Chi cattolico non è non riesce ad accettare che sia possibile conciliare la graniticità (e la felicità) di alcune certezze con la libertà di ricerca e, nel mio personale caso, con il gusto, antico e mai sopito, di esplorare la realtà intorno. Potrei spiegare che non si tratta di cercare la verità, in cui già si crede, ma la sua rivelazione, il suo dispiegarsi nella storia, nella natura, nell’uomo. Ma so che è una battaglia persa, anche per colpa di certi cattolici che usano le certezza della fede per starsene tranquilli e buoni, godersi la vita, non crearsi problemi, e dettare comode ricette per tutti (il contrario esatto della fede, cioè!). Ma questo è un modo di essere (poco o nulla cristiano) più che di pensare.

Ma lasciamo perdere. Ebbene: arrivare a Pavia e vedere con quanta giovanile passione giovani ed anziani ricercatori, tra i quali grazie a Dio anche qualche cattolico (nel senso di cui sopra, perché ci sono pure tanti cattolici, a destra e a sinistra, che hanno legittimamente scelto di riferirsi ad altre fedi politiche piuttosto che alla propria fede religiosa), se ne stanno lì a raccontarci, umili, i risultati delle loro ricerche, sempre punto di partenza per altre ricerche, è stato un vero godimento dell’anima. Esattamente quello che andavo cercando: questi filosofi liberali e di sinistra, questi ricercatori liberali e di sinistra, quando non sono talebani (e non potrebbero perchè liberali), sono meravigliosi animatori della mente. Avendo nella ragione il loro punto di riferimento e di distinzione dal resto degli esseri viventi non hanno alternativa: o ragionano, o ricercano, o non esistono (e non voglio dire che i cattolici possono fare a meno di ragionare, anche se c’è chi si diverte a farlo, è solo che siamo naturalmente più orientati verso altre modalità di impegno che hanno pure e non a caso un altro nome: incarnarsi). Questo continuamente porsi delle domande e cercare risposte logiche, coerenti, razionali in una parola, spesso navigando, in qualche caso vagabondando pure, in un oceano di cultura, avendo sempre l’uomo come punto di partenza e arrivo di ogni impegno, ha avuto su di me un impatto davvero vivificante. Il vero ricercatore non smette di farsi domande, è aperto al mondo, alle sue novità, non alza steccati, non stabilisce confini, caso mai fissa principi ma mai definitivi, si apre, libera energie, e inevitabilmente finisce per mettere in moto tutta la realtà intorno a sé.

A me è successo qualcosa di simile.Con i miei poveri mezzi vorrei provare a dire che tutto questo ha un senso che va colto. Va colto per essere maturato e, quindi, perché no? diffuso, anche, anzi: soprattutto, fra i giovani! Il senso di una collaborazione a sinistra tra atei e credenti, indispensabile, da sempre! Ma per carità non diciamo tra laici e cattolici. Io mi vanto del mio pensare e agire laico. Me ne vanto perché lo so scaturire dalla fede, e mai in contrasto con essa. Siamo tutti laici quelli che, come noi, vanno cercando aperti alla stupore della scoperta. E poi: chi ama davvero come fa ad alzare staccati, come può attaccare catene, come fa a non essere laico? La storia d’Italia è piena di laici cattolici, razza secondo me più rara dei cattolici laici pur essi tanti e straordinari, ma entrambi decisivi per il nostro Paese, sin dal suo sorgere, e anche nel lungo tempo del non possumus, e sempre presenti nei momenti cruciali, con un senso dello Stato, perdonatemela, fino ad ora eguagliato forse ma superato mai (qualche esempio dell’oggi: Bindi, Scalfaro). Ebbene, il significato di una collaborazione tra culture diverse, dicevo. A Pavia ho vissuto una bella, a tratti entusiasmante, quasi sempre stimolante, commistione. Perché è questo il punto: stiamo tutti in una casa comune, della quale tutti siamo proprietari. Dentro nessuno deve sentirsi minoranza gentilmente ospitata, né alcuno può sentirsi maggioranza aperta all’accoglienza. Siamo un gruppo che ama il proprio Paese, al cui sviluppo vuole contribuire unito.

Unito non tanto nella diversità quanto nella multivarietà delle provenienze culturali e delle scelte personali dei valori. Ma unito da che? Dall’impegno a tenere assieme libertà e giustizia, nelle ricerche, nelle scelte, in ogni proposta? Si certo! In tutte le battaglie civili e politiche, che ci aspettano? Si, anche perché saranno tante e occorrerà essere altrettanto uniti. Tuttavia il vero cemento che ci tiene assieme probabilmente va cercato altrove. Un altrove che ben può trovarsi in quell’ “infinito viaggiare”, per dirla con Claudio Magris, che mi appare il tratto più condiviso e davvero distintivo del nostro modo di essere soci e associazione (per cui più che di casa comune parlerei di tenda comune). “Viaggiare non vuol dire soltanto andare dall’altra parte della frontiera, ma anche scoprire di essere sempre pure dall’altra parte” ricorda Magris ai suoi lettori. E ancor di più lo ricorda a noi che abbiamo accettato di partire per un doppio viaggio, verso il futuro e verso chi ci sta accanto nel cammino, dove non incontrarsi, non contaminarsi, non scoprire di essere pure dall’altra parte di ogni frontiera culturale, è impossibile. Ma non dimenticando altresì che l’infinito viaggiare e pure esso una frontiera dell’essere: tra chi non vuol saperne di viaggiare e chi non concepisce la vita se non come viaggio nella storia. Una frontiera che non divide, dunque, due mondi ma che individua due modi opposti di vivere la propria cultura che: per chi sta fermo, è di appartenenza, per chi si muove è di provenienza.

Così come c’è chi preferisce proclamare la verità, e chi ama cercarla e testimoniarla nella storia. Chi gradisce i sistemi perfetti, e le radici eterne, e chi ama perdersi, sradicarsi, per eterni percorsi lungo i quali poi si ritrova sempre uguale e diverso. Sta cosa andrebbe meglio spiegata, molto meglio, ma a me interessa cogliere un senso, e spero di esserci riuscito: LeG può diventare il viaggio culturale più importante della storia del nostro Paese. Una vera grande avventura, che può entusiasmare, finalmente, anche i giovani (a Pavia, infatti, c’erano).
*Socio di Libertà e Giustizia

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