Laicità, una poltrona per due

14 Feb 2007

IL CONVEGNO DI LeG // Circa i DICO, occorre rilevare come nel Disegno di Legge del Governo si sia dato enfasi agli articoli 2, 3 e 29 della Costituzione, vale a dire ai principi di personalità ed eguaglianza sostanziale, oltre che formale, dei singoli, senza distinzione alcuna, nel diritto di costituire una formazione sociale intermedia, che pur non essendo “famiglia” ne condivida le potenzialità capaci di favorire e accrescere i processi dinamici connessi ai rapporti affettivi, che un individuo ritenesse indispensabili per la propria vita.
Ci si deve, tuttavia, domandare per quale motivo non si sia scelto, sotto il profilo tecnico-giuridico, di tutelare la pari opportunità non di costituire una famiglia senza matrimonio, ma di costituire un tipo di unione libera dai presupposti sostanziali di un matrimonio tradizionale (civile o concordatario), partendo dal primo passo programmatico di qualsiasi “viaggio” in due: l’accordo. Perché, cioé, non ci si è basati sulla volontà costitutiva dei conviventi, anziché sull’invio di raccomandate al proprio domicilio. Dire a un individuo (per legge), “se non ti vuoi sposare, non conta che ti accordi prima con qualcuno, ma conta il solo fatto di avere dichiarato di essere stati conviventi”, significa dire a chi vuole costruire il proprio rapporto affettivo secondo modalità non rientranti nell’art.

29 della Costituzione (quello che fonda la famiglia, non anche altro genere di unioni, sul matrimonio) che, siccome non intende vivere come altre persone intendono fare il proprio rapporto affettivo ma al di fuori dello schema tipico predisposto in Costituzione, non è titolare degli stessi diritti di cittadinanza. Una discriminazione che rischia di rendere debole il Disegno governativo, quando sarà diventato Legge, alla luce degli artt. 2 e 3 della Costituzione, che non ammettono discriminazioni non solo se si è di idee politiche, razza, religione diversi, ma anche di sesso; anzi, anche qualora si abbia un’idea di convivenza affettiva che sfugga a fedi, filosofie prassi comuni di conduzione della quotidianità e quant’altro.
Pertanto, sarebbe auspicabile che, nel corso parlamentare, il disegno governativo subisse una serie di revisioni finalizzate all’equiparazione non soltanto di alcuni diritti conseguenti al senso stesso della vita vissuta solidalmente (in senso patrimoniale e non), ma anche di quel momento programmatico decisivo che è “l’accordo”, il patto, l’incontro di volontà stabilmente orientate a una perdurante convivenza che si intende ufficializzare perché anche i diritti e i doveri che ne discendono diventino stabili, vincolanti e responsabilmente vissuti di fronte alla collettività.
Il primo dovere di un cittadino (di ognuno di noi) è di essere “costituente”: egli produce la norma, nei fatti concreti dell’esistenza, non la subisce e mai potrà ammettersi in un paese di civiltà democratica, di doverla subire.

Se è vero ciò, sarà anche indispensabile conseguenza l’apertura di ogni spazio giuridico possibile a tutte le potenzialità di vita, laicamente, senza predominio di una visione dell’organizzazione della comunità sociale sopra un’altra. La visione personale del mondo, che ognuno di noi possiede (o, peggio, mutua ideologie, chiese o partiti, per goderne la rendite), la propria filosofia o la propria fede religiosa, non possono dominare il processo costituente di cui il singolo cittadino è soltanto “funzione”. La sua funzione (attiva) consiste semplicemente nel produrre la realtà che si sta costituendo ancora prima del formalizzarsi di una legge. Le leggi devono “riconoscere” la nascita di diritti e di doveri, di procedure e di sostanza giuridica, non anticiparli. Ecco perché la cosiddetta “laicità” altro non deve essere, per ognuno, che il dovere di assumere in sé stessi l’onere di garanti dell’inclusività dell’ordinamento giuridico: un ordinamento che accoglie, che non esclude; che si autodifende contro le forze che agitano la paura del “differente” punto di vista altrui, in mancanza di una capacità di convinzione autonoma. Forse essere critici, anche per un cattolico, verso le gerarchie della propria confessione (lo si fa con tanta leggerezza verso altre confessioni, come se non si riconoscesse la dominanza della proria), capaci di ingerirsi senza rispetto dello Stato e dei cittadini nelle dinamiche che guidano il processo produttivo delle tutele dei diritti e dei doveri con legge, potrebbe essere un primo passo.

Legiferare per la comunità “tutta”, quello successivo, serio, maturo e necessario. Al cittadino che professa la sua fede deve garantirsi il diritto alla prorpia coerenza nei limiti della convivenza sociale, per proprio diritto di libertà, non in virtù di una forza invasiva, l’apparato gerarchico di riferimento, che utilizzando i mezzi di comunicazione la cui audience è maggiore di quella dei luoghi di culto, riesce a collocarsi su posizioni analoghe a quelle di un partito politico. Certamente tutto questo ripugna a un cristiano autentico e imbarazza il cattolico, in particolare, che assiste suo malgrado a un esibizione pubblica dei prorpi vescovi, sacerdoti (e “ministranti” a vario titolo: politici, intellettuali, giornalisti) che, quando incontra nelle sedi confessionali proprie, invece, non riescono a “connettersi” coerentemente coi bisogni concreti della quotidianità della gente. Il modello alto che la cristianità offriva ai primi cristiani sembra molto diverso, scorrendo le lettere di Paolo, gli Atti degli Apostoli: si esprimeva propriamente nelle comunità di persone intenzionate a farsi coinvolgere, dopo aver capito. Era il tentativo di fornire uno strumento di “crescita consapevole”, non una scuola dove imparare a memoria il bene e il male dell’esistenza. Un luogo ben diverso diverso dall’agorà, lontano dalle piazze e dal foro, dove oggi si dovrebbero incontrare soltanto cittadini. Cittadini, non tutori dei poteri che contano, che dovrebbero legiferare per tutti, senza volontà discriminatorie, per l’appunto laicamente.

Se questa legge sarà figlia di una convivenza di fatto tra Stato e Chiesa, non potrà che partorire figli illegittimi, nuovi cittadini senza diritti.

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