Efficienza e meritocrazia,la ricetta di Ichino

06 Feb 2007

Il testo che segue è una sintesi del dibattito dal titolo “Efficienza e Meritocrazia nel pubblico impiego” organizzato dal gruppo Economia e Impresa di LeG. L’incontro che si è tenuto lunedì 22 gennaio, a Milano, è stato seguito da un pubblico numeroso e ripreso da alcuni quotidiani nazionali.
In apertura Tito Boeri ha ricordato Riccardo Faini, recentemente scomparso. Ercole Perelli, ha poi sintetizzato il percorso d’avvicinamento al tema della serata. Il gruppo ha considerato le amministrazioni pubbliche come soggetti operanti sul territorio – quindi nel mercato – con il fine di fornire specifici servizi a cittadini e aziende, così come le imprese forniscono prodotti e altri servizi. L’economia di mercato – dicono i testi – per svilupparsi in maniera ordinata deve poggiare su tre pilastri: la libera concorrenza, la meritocrazia e il rispetto delle regole. Per le amministrazioni pubbliche valgono gli stessi “pilastri”? Almeno per il primo la risposta è negativa, giacché tali strutture quasi mai operano in concorrenza, quindi il cittadino o l’impresa non possono rivolgersi altrove per ottenere quel servizio. Nel pubblico l’inefficienza non conduce al fallimento, però deve pur essere possibile misurare l’efficacia di un apparato, in funzione del servizio fornito ad una comunità che, attraverso la fiscalità, ne sostiene i costi.Per quanto attiene il rispetto delle regole, nelle strutture pubbliche sono purtroppo ancora presenti sacche di corruzione e di illegalità.

Infine la meritocrazia, nessun dubbio che il sistema debba trovare applicazione anche nelle amministrazioni pubbliche. Tale riconoscimento risponde ad un dovere di equità verso la maggioranza dei dipendenti pubblici che operano con scrupolo, prima ancora dell’esigenza di ottenere, attraverso compensi mirati, un miglioramento nei servizi, Tuttavia, per far entrare nell’apparato pubblico criteri di merito, occorre sostenere e valorizzare, a tutti i livelli, un management pubblico capace e dotato di strumenti adeguati. Naturalmente cominciando ad applicare la meritocrazia proprio agli stessi dirigenti pubblici, in funzione delle capacità a svolgere i compiti e gli obiettivi loro assegnati.Alessandro Amadori, coordinatore dell’incontro, riferisce la posizione dell’Italia nella classifica redatta dal World Economic Forum: il nostro Paese si trova al 42° posto. Penalizzano la classifica: la situazione del bilancio statale, la qualità delle istituzioni e l’inefficienza della spesa pubblica; il tutto parzialmente compensato da un buon livello di modernità nel settore privato.Amadori cita anche un altro sondaggio relativo alle priorità maggiormente attese dagli italiani: al primo posto la riforma delle pensioni, al secondo una maggior efficienza nella pubblica amministrazione.Il tema della serata è quindi quanto mai attuale e assolutamente coerente con le attese del paese.Dall’estate scorsa Pietro Ichino ha sollevato il tema della produttività pubblica, con editoriali considerati da taluni al limite della provocazione, ma che hanno avuto il merito di mettere a fuoco un problema largamente sentito.

Nel suo intervento odierno dirige l’attenzione sul segmento di amministrazione più prossimo all’utilizzatore del servizio e riferisce che in paesi come la Gran Bretagna, la Svezia, l’Olanda, si è trovato il modo di monitorare e valutare la qualità dei servizi e, quindi, di intervenire per colmare le inefficienze. Purtroppo la cultura delle valutazioni è scarsamente presente nel nostro paese.Esiste un modo, chiamato Public review, per garantire sia la trasparenza dei programmi, sia le valutazioni consuntive delle performance, espresse da un organismo preposto e rese pubbliche tramite internet. Valutazioni poi discusse in un confronto pubblico tra amministrazione, organo di valutazione e cittadinanza…Se una simile procedura esistesse in Italia, quale potere di sorveglianza e di stimolo avrebbero i cittadini.Una legge del 1993 attribuisce ai dirigenti pubblici gli stessi poteri dei dirigenti privati, segnatamente nella valutazione del personale: i dirigenti pubblici hanno rinunciato a tale potere, forse in cambio del tacito riconoscimento di irresponsabilità per il mancato raggiungimento dei loro obiettivi.Se questa è la situazione, per attivare un sistema che incentivi l’efficienza, occorre fare entrare più mercato attribuendo i finanziamenti pubblici in funzione di valutazioni, reali e comparabili, dei servizi forniti. Bisogna intervenire per interrompere la spirale perversa che vede il cittadino compresso fra due realtà: da una parte non può esercitare l’exit, cioè rivolgersi altrove poiché la Pubblica Amministrazione opera in regime di monopolio e, dall’altra, non conosce le valutazioni oggettive dei servizi, pertanto non ha neppure voice per far sentire i suoi richiami agli organi dirigenti della struttura pubblica.

Una recente proposta di legge prevede la creazione di un’Authority per la valutazione del personale e delle amministrazioni, con il compito di stimolare la costituzione e il buon funzionamento degli organi interni di valutazione (istituiti dalla legge Bassanini del ’99, ma mai funzionanti), quindi mettere a confronto le conclusioni di queste commissioni con le segnalazioni che arriveranno da utenti e associazioni. Michele Salvati presenta un confronto fra privato e pubblico centrato sul punto più alto delle strutture. Nel primo caso, l’obiettivo primario della proprietà è allineare l’interesse dell’azienda a quello del manager, attraverso incentivi fortemente legati alle performance, come le stock option. Il manager sarà così spinto ad ottenere il massimo dai propri dipendenti, quindi assunzioni mirate, leva della meritocrazia orientata al raggiungimento del più elevato rendimento individuale possibile, spirito di squadra. Il tutto finalizzato alla massima performance globale. Il manager sa che, in caso di insoddisfazione, il cliente dell’impresa potrà sempre esercitare l’exit e rivolgersi alla concorrenza. Una situazione aziendale tanto indirizzata all’efficienza, con la perenne incertezza del posto di lavoro, potrebbe anche sfociare nello sfruttamento del dipendente, quindi appare del tutto giustificato il ruolo del sindacato.Nello scenario riferito ad un’amministrazione pubblica la situazione si presenta in maniera del tutto diversa.Intanto il dirigente posto ai massimi livelli, risponde ad un politico i cui obiettivi personali sono spesso estranei alle finalità dell’amministrazione affidatagli.

Probabilmente la prima preoccupazione del politico appena eletto sarà quella di ricompensare in qualche modo i suoi grandi elettori, con incarichi, assunzioni (magari precarie, senza bisogno di concorso), consulenze ecc. Il dirigente si adegua alla situazione, intanto sa che il cliente dell’amministrazione – cioè l’utente – a fronte di possibili inefficienze, non potrà mai esercitare il meccanismo dell’exit perché il servizio è fornito in esclusiva. L’intera linea gerarchica – dal dirigente intermedio al più modesto impiegato – percepisce la situazione. E’ evidente come da tutto ciò non possa scaturire un accettabile livello di efficienza dell’insieme. In tale ambito i sindacati svolgono un ruolo particolare, talvolta l’amministrazione gestisce addirittura le assunzioni con il loro diretto intervento. D’altra parte il dipendente pubblico non rischia la perdita del posto, le carriere sono legate all’anzianità, certamente non esiste per il sindacato l’esigenza di tutelare il lavoratore dal possibile sfruttamento del datore di lavoro.In conclusione, le cause dell’inefficienza nella pubblica amministrazione, devono essere ricercate nei ruoli ricoperti da politici, dirigenti e sindacati. Il fannullone, che pure esiste, non è determinante.Tito Boeri afferma di non credere alle classifiche per nazioni; troppe differenze da un anno all’altro.In Italia la spesa pubblica si aggira intorno ai 170 miliardi all’anno, 11-12% del Pil; abbastanza simile a quella dei paesi del nord-Europa.

Le differenze, fra noi e loro, stanno nei servizi prestati e nei risultati conseguiti. Se nell’impiego pubblico non c’è meritocrazia, con il rischio ultimo del licenziamento, non può essere aumentata la produttività, che – a sua volta – deve potersi misurare attraverso parametri certi ed oggettivi. Gli esuberi, come le carenze di personale sono da eliminare o da colmare in funzione dei reali bisogni, senza dover ricorrere alle concertazioni sindacali previste dal recente memorandum d’intesa.La produttività di un’amministrazione è perfettamente misurabile, più difficile la valutazione del singolo funzionario. Una reale riforma della pubblica amministrazione deve prima realizzare la mappatura delle strutture, poi imporre incrementi salariali selettivi, quindi indirizzare i finanziamenti in funzione dei servizi prestati, infine regolare trasferimenti e assunzioni di personale.
Al termine dell’incontro numerose domande del pubblico.
A tutti ha risposto Ichino: l’Authority prevista dalla proposta di legge, assorbirebbe – a costo zero – altri soggetti già esistenti. Circa le valutazioni delle performance, è indispensabile che i dati inerenti alle attività delle singole amministrazioni siano accessibili a tutti, affinché le comunità dei cittadini, le associazioni dei consumatori, possano esercitare pressioni e spingere così tutta la struttura, cominciando dai politici, ad adottare comportamenti più efficienti e produttivi. Come valutare le inefficienze e i surplus? Esistono metodi studiati da esperti internazionali, tuttavia – in non pochi casi – basta l’Elephant test, facile operazione di qualificazione o classificazione di casi evidenti.Il memorandum d’intesa, recentemente stipulato dal governo con i tre maggiori sindacati, contiene luci ed ombre.

Concetti nuovi e positivi che non vanno sottovalutati, come “valutazione dell’efficienza”, “misurabilità”, “riconoscimento del merito”, “piena accessibilità delle informazioni”. Ma anche ombre, come i rilevanti ampliamenti degli spazi di cogestione sindacale dei poteri pubblici. Infatti, la riorganizzazione degli uffici è “oggetto di preventiva concertazione con le Organizzazioni sindacali..” e, a proposito dei controlli di produttività, si concorda che siano attuati sulla base di sistemi di valutazione introdotti e disciplinati dai contratti collettivi, in altre parole “controlli concertati”.

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