Il Pd e le false partenze

11 Set 2006

Il dibattito sul Partito Democratico necessita ben più di una seria riflessione. Il cantiere è stato aperto, ufficialmente ormai da diversi mesi, ma gli interventi sembrano non seguire un progetto organico. Fino ad oggi abbiamo assistito ad una serie interminabile di false partenze, rimbalzi di palla, passaggi tattici con l’obiettivo di smuovere le acque senza muoversi dalla propria posizione. Insomma si naviga a vista. La strada, come ha più volte dichiarato Dario Franceschini, capogruppo dell’Ulivo alla Camera, è però piena di curve, dunque conviene tenere il giusto andamento per evitare sbandate. Non sono dunque positive né brusche accelerazioni, tanto più frenate dello stesso tenore. Attività che spesso vengono compiute alternativamente sia dai DS, che dalla Margherita. Continuare a discutere a ruota libera con dichiarazioni ed interviste perfettamente ad incastro, determina un paradossale effetto annullamento. Mi riferisco in particolar modo ai moderati DL, ai riformisti DS o cambiando ai moderati DS e riformisti DL.
Gli elettori del centrosinistra notoriamente sono dotati di un indice di pazienza superiore alla norma. Forse fin troppo, soprattutto in questi ultimi dieci anni e nei confronti di coloro che hanno avuto comportamenti ondivaghi, tali da tergiversare attorno alla nascita di un nuovo soggetto. Ciononostante, per ben due volte, considerando le sole elezioni politiche, senza tirare in ballo ed a supporto le consultazioni amministrative, hanno manifestato una decisa preferenza per i soggetti aggregati o meglio il simbolo unico (vedasi i risultati delle ultime elezioni politiche alla Camera, nonostante la legge elettorale proporzionale).

Credo che agli elettori poco importi se il nome di tali “cornici” sia Ulivo o Partito Democratico. Quello che conta sono i programmi che il nuovo soggetto riuscirà ad elaborare, fondando la sua azione su quel bagaglio ideologico, oggi ereditato in parte da DS e Margherita, cui si deve far riferimento con un approccio innovativo. E’ infatti difficile far coesistere anime diverse, a meno che non trovino la giusta sintesi, attraverso un sincretismo ideologico che non può più scandalizzare i fedeli alle “famiglie di partito”. Non servono alchimisti o maghi della provetta. L’elemento chiave su cui fondare l’analisi è dunque la necessità di superare l’eterno particolarismo italiano, nell’ultima versione supportato da una legge elettorale ad hoc che, oltre a legittimare la disgregazione, ha dato origine a “nominati”, più che “eletti”.
Guardiamo dunque agli elettori. L’altro ieri il nostro presidente Sandra Bonsanti ha scritto: ” C’è un solo riferimento che faccia scattare l’applauso, parole magiche che scatenano passione e speranza; si chiama Partito Democratico. Alle feste dell’Unità o della Margherita è il Pd che militanti e cittadini senza tessera vogliono sentir nominare dai loro leader durante questi riti di fine estate, lo esigono quasi fosse il talismano che scaccia le tensioni e l’ansia, che riporta il sorriso.”.Ma allora ci si chiede, gli elettori del centrosinistra quanto contano per il centrosinistra? Forse sarebbe opportuno ripartire da loro.

Concretamente. L’elettore oggi non sembra più posizionato al centro, ma sempre più alla periferia del sistema, chiamato, invocato, ma difficilmente ascoltato fino in fondo. Da Cicerone abbiamo appreso, seppur in riferimento alle forme di governo, che l’aristocrazia – esagerando la metto in relazione alla classe dirigente dei partiti- rischia di degenerare in oligarchia. Ebbene forse quel momento è arrivato, non oggi, ma un bel po’ di anni fa. Ecco il Partito Democratico, nascerà dotato di “sana e robusta costituzione”, se e quando, superareremo tale degenerazione (sulla cui reversibilità Cicerone esprimeva diversi dubbi, ma noi dobbiamo essere più ottimisti in questa ed in altre sedi).
La stabilità delle democrazie è legata alla stabilità dei partiti. E’ difficile che si verifichi diversamente. Piero Fassino, ha dichiarato con lucidità in una intervista estiva : “nel centrosinistra ci sono 13 partiti, 9 dei quali sotto il 3 per cento”. E’ chiaro che il Partito Democratico, non semplice somma di soggetti oggi autonomi, sarebbe di parziale ausilio ad un’opera di rimodellamento dell’ intera coalizione. Ma gli effetti benefici della potatura andrebbero oltre il semplice risultato di realizzare un soggetto aggregante-moderato con un’anima “riformpop”, oserei dire, riformista e popolare al tempo stesso. Si avrebbero infatti ripercussioni immediate sulle ali radicali della coalizione. Tempo fa, Pietro Folena, ex esponente del Correntone Ds, oggi indipendente in quota Rifondazione, auspicava un processo unificatore addirittura tra le forze più radicali (Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Verdi, alcuni movimenti).

Aggiungo che non potrebbe rimanere alieno da trasformazioni nemmeno quel centrodestra che attualmente è in panne, causa assenza del “nocchiero”. Un effetto domino benefico dunque porterebbe aria nuova nel sistema partitico italiano e di riverbero nell’agone politico. Si andrebbe incontro ad una nuova stagione, fatta non più solo di cambi di sigle e transumanze strumentali “intra ed extra moenia”. Ovviamente un quadro di rinfoltimento del “parco-partiti” italiano è possibile non senza una buona legge elettorale. Proprio quella che oggi manca. Come prepararla è questione che spetta agli esperti di sistemi elettorali ed ai politici di entrambi gli schieramenti. Di soluzioni ce ne sono molteplici e tecnicamente varie. Dalla gradazione del maggioritario, al proporzionale con sbarramenti “edificanti” e non “disgreganti” e potrei continuare. E’ però nostro obiettivo, come Libertà e Giustizia, “pungolo” e ponte tra i partiti e la società, indicare a quali principi debba ispirarsi. Pietra angolare di una buona legge elettorale, come tutti voi sapete, è la rappresentanza dell’elettorato. Che non può essere considerata disgiuntamente dalla governabilità. Sic stantibus rebus siamo in presenza, ormai da tempo, di un eccesso di rappresentanza ed una carenza di governabilità sistemiche, a cui si cerca di ovviare parzialmente con accordi “a tempo determinato” e comportamenti camaleontici che sicuramente non appassionano gli elettori, e forse nemmeno gli addetti ai lavori, ma cosa ancor più grave comportano instabilità perenne.

Sperando nella validità del messaggio, riporto in ultimo le parole di Francesco Rutelli tratte dalla nota intervista di inizio agosto (pubblicata su “L’espresso”) : “Noi stiamo pedalando per il cambiamento del Paese. La gara non è un surplace, non si vince stando fermi secondo una tecnica del ciclismo su pista, ma andando verso il traguardo. E il baricentro del governo deve essere una grande forza riformista che progetta le innovazioni».” Per cambiare ci vuole coraggio, audacia, sacrificio. La classe dirigente ed i principali attori partitici del centrosinistra devono avere la volontà e la forza di portare avanti un progetto condiviso creando consenso, mirando in pratica al 40 % del bottino elettorale, così come auspicato da Walter Veltroni. E noi dobbiamo spingerli, facendo sentire la nostra voce, con questa e tante altre iniziative atte a creare raccordo e concordia tra le parti. Noi di Libertà e Giustizia concentreremo la nostra attenzione, a partire dall’imminente autunno, sul Partito Democratico, ma non solo. Come già detto abbiamo l’urgenza di riformulare la legge elettorale, creando all’occorrenza un habitat favorevole per il nuovo soggetto. Ma non solo. A giugno, come sapete, abbiamo conseguito una grande vittoria, ponendo fine alle velleità finto-riformiste dell’attuale opposizione e bocciando alle urne, in maggioranza quasi assoluta, la riforma costituzionale imposta. Ora ci attende un periodo di riflessione e studio sui possibili interventi e sui tempi da adottare.

Su questo e tanti altri punti ci faremo sentire ed appoggeremo proposte costruttive provenienti dai partiti e non solo, a patto che siano tese al miglioramento del sistema politico italiano, affinché la sua intrinseca innovazione sia trainante per il cambiamento del Paese.
*Coordinatore circolo LeG Roma

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