Dilettanti e demagoghi

29 Lug 2006

Primum vivere, di Barbara Spinelli // Nella scorsa legislatura, numerose e condivise dagli elettori del centro-sinistra sono state le battaglie per la giustizia e in difesa del concetto di legalità. L’opposizione di allora, in pieno accordo con il proprio elettorato, ha avversato duramente le leggi approvate dalla maggioranza al fine di proteggere Berlusconi ed i suoi seguaci dalle conseguenze di svariati processi penali pendenti a loro carico. Autorevoli rappresentanti dei DS hanno spiegato che una maggiore efficienza del servizio giustizia è indispensabile non solo per rendere questo paese più civile ma anche per incentivare gli investimenti dall’estero e quindi favorire la crescita economica. L’opinione pubblica e tutta la magistratura si sono mobilitate contro la riforma dell’ordinamento giudiziario voluta da Berlusconi, perché – si è ripetuto – non destinata ad incrementare bensì a ridurre, con la sua farraginosità, l’efficienza del sistema della giustizia ed inoltre a condizionare i giudici. Il programma sulla giustizia presentato dall’Unione in occasione delle scorse elezioni era talmente articolato da suscitare critiche per la sua lunghezza e per l’eccesso di contenuti: vi si parlava di migliore utilizzo delle risorse disponibili, di aumento dei fondi destinati alla giustizia, di riforme necessarie in ambito civile, penale e di ordinamento carcerario; si sottolineava con forza che il servizio giustizia è cruciale nella vita di un paese democratico e che l’Italia molto deve fare su questo terreno.Lungo la passata legislatura, tutti i rappresentanti dei partiti dell’opposizione si spendevano inoltre in infinite dichiarazioni a favore della tutela della sicurezza dei cittadini, con il fine di non lasciare agli avversari il ghiotto argomento della protezione contro la criminalità cosiddetta minore, quella che insidia la vita di tutti i giorni: scippi, furti, rapine, truffe e così via.In occasione della formazione del nuovo governo Prodi, grande è stata la sorpresa quando – a fronte di vari candidati qualificati per il compito – al Ministero della Giustizia è stato designato Mastella, notoriamente del tutto digiuno della materia ed estraneo al lungo ed articolato dibattito che negli anni si era sviluppato – sia tra gli operatori che a livello politico – sui problemi della giustizia.Le prime iniziative del nuovo governo gettano una nuova luce su tale scelta, frutto non solo di logiche partitiche ma certamente anche della volontà di non avere un interlocutore competente ed autorevole sulla poltrona di ministro della giustizia.

Vediamole, queste iniziative: l’eliminazione dei minimi tariffari per gli avvocati è una misura che rivela ignoranza dei temi affrontati ( si veda la precisazione di Franzo Grande Stevens di alcuni giorni fa su La Repubblica in merito alle indicazioni di fonte europea in materia) e intenti bassamente demagogici: è falso che essa possa avvantaggiare il cittadino utente dei servizi dell’avvocato, posto che lo stesso ben difficilmente è in grado di negoziare prezzi più bassi dei minimi, mentre è probabile che tale misura avvantaggi i grandi utenti del contenzioso “seriale” quali banche e assicurazioni. Nell’adottarla, il ministro Bersani non solo non ha nemmeno consultato il responsabile del dicastero di competenza (Mastella, appunto) ma si è anche guardato dal consultare il programma dell’Unione, dove si prevedevano interventi sulle tariffe professionali diretti ad incentivare la rapida risoluzione delle controversie, sull’esempio di altri paesi europei.Secondo intervento sul tema della giustizia è consistito nel tagliare i fondi destinati a questo settore: come dire che le parole spese negli anni per auspicare e per concretamente progettare un miglioramento del servizio giustizia erano solo chiacchiere, alle quali questo governo non ritiene di dover dare alcun seguito.Terzo intervento è l’indulto votato dal Parlamento con i voti decisivi di Forza Italia e dell’UDC, partiti che contano notoriamente al loro interno esponenti con gravi problemi giudiziari.

Si dice: per fare l’indulto occorrono i due terzi dei voti, dunque non bisogna fare le anime belle ed occorre accettare la condizione posta da FI e UDC, cioè l’inclusione dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati “finanziari” quali falso in bilancio, bancarotta etc.Ma il tema è mal posto: anzitutto occorre spiegare ai cittadini quali siano le ragioni giustificatrici dell’indulto, ciò che non è mai stato fatto dagli esponenti della maggioranza. Anzi, grottescamente il capo del governo ha cercato di lavarsi le mani di tutta la questione, asserendo che la stessa costituirebbe “un atto parlamentare”: come se il suo governo non fosse espressione di quello stesso Parlamento!I cittadini, come dimostra un sondaggio pubblicato sul sito de La Repubblica, sono nella quasi totalità contrari all’indulto approvato dalle Camere.Si è detto che occorrerebbe mettere fuori i “poveri cristi” e ciò a causa delle disumane condizioni delle carceri italiane: ora, anzitutto per onestà intellettuale si deve ricordare che si parla di persone condannate a pene detentive definitive e dunque cancellarne la pena pone evidenti problemi di ordine pubblico e di sicurezza dei cittadini, che non possono essere ignorati e rispetto ai quali è indispensabile individuare delle soluzioni alternative, che salvaguardino il valore della tranquillità di chi reati non ha commesso. In secondo luogo, il problema delle carceri non viene minimamente affrontato, neppure in prospettiva, da questa maggioranza, dato che l’indulto è stato approvato in maniera del tutto avulsa da qualsiasi misura strutturale diretta a risolverlo.

Sotto questo profilo, l’indulto in questione è un atto non di clemenza ma di irresponsabilità.Si può quindi porre in dubbio la validità dell’indulto varato dal Parlamento anche a prescindere dalle alleanze con Forza Italia e UDC che hanno presieduto alla sua approvazione.Quanto a queste ultime, il messaggio che viene dato ai cittadini è devastante: non solo i colpevoli di reati contro la pubblica amministrazione (corruzione tra essi) ma anche i colpevoli di reati attinenti la gestione di società quotate ed i mercati finanziari se ne avvantaggeranno. Si pensi ad esempio ai crack Parmalat e Cirio, alla scalata della Banca Popolare di Lodi alla banca Antonveneta, alla “scalata” di Ricucci ad RCS, alla scalata delle Coop alla BNL, che tanto hanno indignato l’opinione pubblica in tempi recenti. Tutti gli imputati per queste – come per molte altre – vicende non solo andranno esenti da pena (o la vedranno grandemente ridotta), quand’anche fossero condannati in via definitiva, ma – essendo l’indulto esteso alle pene accessorie – potranno riprendere i loro posti nei consigli di amministrazione. Colmo dei paradossi (ma possibile che nessuno ci abbia pensato?) nei prossimi anni si dedicheranno ingenti risorse a celebrare processi anche molto complessi sapendo che non si tradurranno in alcuna sanzione.Lungi da noi ogni eccesso giustizialista. Ma riteniamo che la corruzione e la criminalità finanziaria che hanno afflitto il nostro paese negli scorsi anni non meritino l’oblio, bensì una risposta coerente e responsabile, diretta a ristabilire i principi del rispetto delle regole e della tutela delle vittime.

Il prezzo pagato dalla maggioranza per varare questo indulto ci sembra troppo elevato, poiché esso va a rafforzare l’italica convinzione che i furbi, i ricchi, i potenti alla fine non patiscono le conseguenze delle loro condotte illecite. Ne escono umiliate sia la credibilità etica e politica della maggioranza, sia la volontà di cambiamento espressa dai cittadini nelle recenti elezioni.Soprattutto, considerate le prove date finora, ci chiediamo se esista e quale sia la politica del governo Prodi sulla giustizia.
* L’autrice fa parte del Consiglio di direzione di LeG

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