Paolo Murialdi, galantuomo del giornalismo

18 Lug 2006

L’Associazione lombarda dei Giornalisti e la Federazione nazionale della Stampa hanno ricordato Paolo Murialdi, giornalista e scrittore di livello assoluto, con un convegno a Milano, al Circolo della Stampa, a un mese dalla scomparsa. Ecco l’intervento di Sergio Borsi, collega di Murialdi, ex segretario della Fnsi.”Dalla lunga vita di Paolo e dalla molteplicità delle sue esperienze di lavoro si possono isolare per mettere in rilievo molti aspetti, molti episodi, molti insegnamenti. Per parte mia ritengo che, sia pure in modo schematico, la vita professionale di Paolo si possa dividere in tre importanti fasi o cicli storici: la presenza nei giornali e, soprattutto, a “Il Giorno”; l’impegno ai vertici del sindacato, come presidente della Federazione della stampa; la ricerca, gli studi, l’insegnamento, la pubblicazione di libri e riviste.Al Corriere, nel suo lavoro quotidiano, ampliò le sue conoscenze, acquisì le tecniche che appartengono al grande giornale, arricchì il suo bagaglio di esperienze. Paolo era profondamente convinto quanto fosse difficile, forse addirittura impossibile, conciliare la linea editoriale del giornale e gli interessi che in quel tempo il Corriere difendeva con le proprie idee, le proprie convinzioni, con quella parte di gioventù dedicata alla lotta partigiana, alla resistenza, alla liberazione. Il conflitto ideologico era forte ma non si manifestò mai, neppure episodicamente, in maniera aggressiva.La scelta di lasciare il Corriere per farsi consapevolmente coinvolgere nell’avventura del nuovo quotidiano, “Il Giorno”, esaltò Paolo, lo convinse che si poteva lavorare questa volta sì trasferendo le proprie convinzioni, le proprie motivazioni ideologiche e politiche nel giornale che quotidianamente veniva offerto ai lettori che cercavano nelle sue pagine le notizie ma soprattutto la spinta verso il nuovo, verso il cambiamento.

In quegli anni “Il Giorno” costituì davvero l’unica vera grande novità editoriale. La sua storia più recente, purtroppo, non è altrettanto esaltante.Murialdi, al compimento del 55/mo anno, decise di andare in pensione perché voleva fare ciò che il turno quotidiano al giornale non gli consentiva di realizzare appieno: il ricercatore, il frequentatore degli archivi di Stato che proprio in quegli anni si erano aperti per mettere a disposizione degli storici materiale straordinariamente importante, fino a quel tempo non consultabile. Ma il piano fu rinviato. Correva l’anno 1974 e Paolo, conosciuto ed apprezzato storico ma anche politico, fu invitato a tenere una relazione al congresso nazionale della Federazione della stampa a Rimini. La Rai stava per essere riformata, premevano le Regioni per realizzare un effettivo decentramento e disporre di spazi più ampi sui canali del servizio pubblico. Paolo partecipò al convegno, sviluppò la sua relazione, ma mentre con il biglietto in mano stava per tornare alla stazione in attesa del treno, fu invitato a ritardare la partenza per Milano da alcuni colleghi di Rinnovamento, la corrente sindacale nata a Salerno da una costola del Movimento dei giornalisti democratici.Non so che fine abbia fatto quel biglietto: sappiamo però che in quel congresso abbiamo eletto un presidente che in poche ore ha fatto conoscere il suo carattere, la sua preparazione, la sua determinazione. Noi, delegati al congresso, ricordiamo limpidamente, a scrutinio appena concluso, lo scambio durissimo di battute sulla ragione d’essere dell’Ordine professionale fra Murialdi, il vincitore e il candidato presidente dell’opposizione, sconfitto.Il settennato di presidenza di Murialdi – concluse il suo secondo mandato al congresso di Bari del 1981 – è straordinariamente importante per il giornalismo, per i cambiamenti nella professione, per l’evoluzione del sistema delle comunicazioni di massa, per l’assoluta mancanza di regole e norme certe, per le enormi difficoltà che attraversava il Paese, scosso in quegli anni dal terrorismo più violento e sanguinoso.

Paolo fu sempre al fianco del segretario, al fianco della Giunta esecutiva, al nostro fianco. Prodigo di consigli, suggeritore di riflessioni, di pause per analizzare l’evoluzione dei fatti. In quegli anni, pur così difficili, Murialdi riuscì a far sedere attorno al tavolo studiosi e politici, sindacalisti ed esperti, giornalisti e poligrafici, editori e uomini di cultura per lavorare faticosamente ma tenacemente sulle proposte di legge sulla riforma dell’editoria che si sarebbe affiancata alla legge di riforma del sistema radiotelevisivo con la fine del monopolio decretata dalla Corte costituzionale.Partecipò, in sede ministeriale e in sede sindacale, all’apertura e conclusione di due trattative contrattuali. Non aveva dimestichezza con le norme e con le tabelle salariali ma le sue riflessioni di saggezza hanno accompagnato le parti durante le diverse fasi della trattativa.Murialdi collaborò con due segretari nazionali della Federazione: Luciano Ceschia e Piero Agostini. L’uno di Trieste, l’altro, trentino, ma residente a Bolzano. Geograficamente non distanti ma caratterialmente molto diversi e anche con culture e convinzioni politiche non coincidenti. Paolo usava, con entrambi, il freno e l’acceleratore perché sapeva bene che differenti erano gli stili di guida ma unico era l’obiettivo da raggiungere. A tutti noi, durante le riunioni di Giunta, dispensava sempre consigli e quando dissentiva il suo tono di voce non era mai alterato: contava la sostanza, non la forma.

Gli interventi erano ridotti al minimo e sempre rispettosi dei ruoli e dei compiti di ciascuno di noi. Murialdi fu anche attivo nella costruzione di rapporti internazionali. Essendo la nostra federazione un sindacato unitario, storicamente non aderì mai né alla Federazione internazionale dei giornalisti con sede a Bruxelles né all’Organizzazione internazionale dei giornalisti che aveva sede a Praga. Ma la crisi del comunismo e del blocco sovietico aprì qualche spazio importante e così il Presidente Murialdi con Ceschia e Agostini cominciarono a intessere rapporti sempre più collaborativi con Bruxelles fino ad assumere la decisione – con la caduta del muro – di entrare a pieno titolo nella Federazione internazionale. Anche quello fu un importante passo avanti per il nostro sindacato.Murialdi lascia la Federazione nel 1981, al congresso di Bari. La corrente di maggioranza, Rinnovamento, ha superato numerosi momenti di crisi per forti dissensi interni. Nel 1978, al congresso di Pescara, anche per una forte iniziativa partitica dei socialisti, la corrente resiste ma con grande fatica. Murialdi è critico in più occasioni sui comportamenti della corrente. Il ricambio non è pronto. Ceschia si sacrifica ancora per circa un anno ma poi cede il posto a Piero Agostini. Incombono le tecnologie, gli editori premono per la riconversione, le redazioni sono restie ad accettare questa rivoluzione. Si avvia una trattativa-ponte in attesa della scadenza del contratto (prevista per il 1981).

Un pomeriggio, nella sede della Fieg, mentre stavamo attendendo l’inizio dell’incontro, le agenzie battono il lungo elenco degli appartenenti alla P2, con gli omissis. Nell’elenco figurano i nomi di molti giornalisti, alcuni notissimi e collocati in posizione di grande responsabilità ai vertici delle testate. Una materia delicatissima che Murialdi e Agostini hanno trattato con responsabilità, senza processi in piazza, ascoltando tutte le ragioni, aprendo un serrato contraddittorio sulla gravità delle scelte compiute dai giornalisti che si sono iscritti a quel tipo di loggia massonica. La forza della ragione e l’equilibrio nel giudicare hanno consentito al sindacato dei giornalisti italiani di concludere l’intera vicenda con scelte e decisioni che altri ci hanno invidiato.Mi resta da trattare il terzo punto, cioè l’attività di storico, di ricercatore, di docente di Murialdi. Devo dire che già durante il periodo della sua presidenza si recava spesso all’archivio di Stato dal quale ritornava con materiali interessantissimi che suscitavano in lui non solo stupore ma anche una parziale incredulità. Raccolse e continuò a raccogliere – anche dopo il 1982 – il materiale di base che gli consentì di scrivere alcuni dei suoi libri più belli: la stampa pre-fascio, la stampa durante il ventennio, la stampa dopo la liberazione. Studi e pubblicazioni arricchiti di conoscenze sul giornalismo e sul giornale che ci hanno accompagnato nel tempo. Cito, fra tutte, la rivista “Problemi dell’informazione” che si pubblica da trent’anni.

Tutti coloro che hanno vissuto quegli anni nella professione e nel sindacato, pensando e ricordando Murialdi non solo tradiscono una forte emozione ma non sottacciono la grande soddisfazione di essere stati protagonisti di una stagione straordinaria del nostro sindacato, al quale abbiamo dato e al quale nulla abbiamo chiesto. Perché questo ci ha suggerito la nostra coscienza, questo ci ha insegnato Paolo”.
Intervento per il Convegno dedicato a Paolo Murialdi, Milano -Circolo della Stampa 14 luglio 2006
Nato a Genova l’ 8 settembre 1919, Paolo Murialdi si è laureato in giurisprudenza, ma fin dagli anni universitari, non ancora ventenne, iniziò l’ attività giornalistica. Era il 1939 quando fu assunto come praticante a Il Secolo XIX. Nel Dopoguerra cominciò la sua collaborazione in alcuni settimanali e quotidiani a Milano, finché nel 1950 non venne assunto dal Corriere della sera. Passato al Giorno di Giorgio Bocca e Gianni Brera, Murialdi arrivò a ricoprire l’ incarico di redattore capo centrale. Nel 1974 divenne presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI). Rimase alla presidenza per sette anni, mentre dal 1986 al 1990 fu il tesoriere della Federazione Internazionale dei Giornalisti. Consigliere di amministrazione della RAI dal luglio 1993 al luglio 1994, Murialdi ha dedicato la parte più rilevante della sua attività intellettuale alla ‘Storia del Giornalismo’ (la prima edizione venne pubblicata da Laterza nel 1974). Docente di storia del giornalismo e di comunicazione di massa in numerose Università e scuole professionali, ultimamente insegnava Scienze della Comunicazione all’ università di Torino.

Di lui Indro Montanelli disse: «Ecco un galantuomo». Era socio di Libertà e Giustizia.

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