Nove punti fermi sul Partito democratico

30 Giu 2006

1. Il Partito democratico nasce con l’ambizione di unire tutti i riformisti del centrosinistra, provenienti da storie culturali e politiche diverse, in alcuni casi in passato anche contrapposte, che oggi, lasciati alle spalle i grandi contrasti ideologici che hanno segnato il novecento, si riconoscono in un progetto comune. Questo progetto è reso possibile in virtù della dinamica bipolare che ha assunto la politica italiana e, nel contempo, è uno strumento per rafforzare il bipolarismo. La creazione di un’ampia aggregazione di centrosinistra comporta una semplificazione del sistema politico e assicura un baricentro alla coalizione dell’Unione, capace di parlare (anche) a quella parte dell’elettorato che ha un ruolo strategico in un confronto bipolare. Una delle scommesse alla base del PD sta nel ritenere che le differenze culturali e ideali attuali – in particolare, ma non solo, tra DS e Margherita – non siano più tali da giustificare l’esistenza di partiti separati. Nel contempo, è chiaro che all’interno del PD convivranno – non in modo residuale, ma come dato caratteristico del nuovo partito – una pluralità di valori e ideali.
2. Il PD sarà quindi caratterizzato da un forte pluralismo culturale, porterà in sé identità plurime. Ma si tratta di andare oltre la logica «anni settanta» dell’incontro tra culture, che nasconde la difesa di identità in larga misura usurate e che porta solo a poco feconde giustapposizioni. Il PD deve darsi metodi e strumenti per arrivare a produrre decisioni, oltre che sui problemi chiave di politica economica ed estera, anche sui temi «sensibili» (diritti civili, bioetica, ricerca scientifica), che sempre più toccheranno la vita, le speranze e le paure di molte persone.

Tutto questo richiede una riflessione comune, condotta al di fuori degli attuali steccati organizzativi, sui fondamenti ideali del PD, sulla sua struttura organizzativa e sulla sua capacità di elaborazione programmatica.
3. Il PD dovrà aggregarsi innanzitutto attorno a una «carta dei valori». Intesa non come elemento fondante di una nuova identità monolitica, ma come perimetro ideale condiviso all’interno del quale inserire l’agire politico. Proprio in quanto forza pluralista, il PD non potrà che essere un partito laico, in cui si è chiamati a sostenere le proprie posizioni all’interno di procedure deliberative, sulla base della capacità di persuasione dei propri argomenti piuttosto che della loro conformità ad una qualche ideologia o dottrina condivisa. Naturalmente un partito nuovo porta con sé anche chiavi di lettura nuove di una società e di un mondo che cambiano e alcuni principi guida del riformismo: da un’idea di libertà come crescita delle possibilità di scelta del maggior numero possibile di individui, alla valorizzazione del merito, all’attenzione alle dimensioni della solidarietà tra generazioni e della sostenibilità ambientale, per fare solo alcuni esempi. La carta dei principi – insieme con lo statuto – dovrà costituire l’elemento attorno a cui costruire un profilo identitario “leggero” del PD e, di pari passo, un’occasione per favorire un salutare rimescolamento delle logiche di appartenenza.
4. Per il varo del PD il fattore tempo è decisivo.

Prova ne sia, per contrasto, il fatto che da più di un decennio l’Ulivo è in campo ma il suo progetto culturale non ha portato alla nascita di nessun contenitore politico permanente. È importantissimo il ruolo dei vertici di DS e Margherita, e la loro dichiarata intenzione di cogliere tempestivamente l’indicazione venuta dal voto con il successo della lista dell’Ulivo. Così come un ruolo fondamentale spetta a Romano Prodi, non solo come artefice del progetto dell’Ulivo, ma come leader dell’Unione e primo ministro. Tuttavia la spinta dall’alto è condizione necessaria ma non sufficiente per la nascita del PD. L’ipotesi della «fusione fredda» rischia di rivelarsi di corto respiro se non vedrà un coinvolgimento e una spinta anche dal basso, da ampie fasce di società civile disposte a mobilitarsi per il nuovo progetto. Ne consegue la necessità di individuare un soggetto che faccia da motore al processo, un «comitato promotore» che delinei un percorso capace di includere tutti i soggetti – partitici e associativi – davvero interessati a far nascere il PD. Ma prima ancora è necessario creare un luogo nel quale il dibattito culturale sui principi, gli obiettivi e le forme della democrazia interna del nuovo partito si possano svolgere in forme aperte, non condizionate dalla preoccupazione di trovare un bilanciamento proporzionale delle varie componenti.
5. Qualunque sia il modello organizzativo che vorrà darsi, il PD sarà un partito nuovo. Le cui sezioni o i cui circoli non potranno essere la giustapposizione delle sezioni e dei circoli degli attuali partiti.

I cui organi interni e le cui strutture serventi non potranno essere la sommatoria delle strutture esistenti. Al PD sarà giusto chiedere innovazione anche su altri tre fronti: nella individuazione di criteri trasparenti per la scelta dei candidati alle cariche elettive (in particolare attraverso le primarie, per tutte le cariche monocratiche di governo, dai sindaci ai presidenti di provincia, dai presidenti di regione al primo ministro); nella definizione di rigorosi criteri di incompatibilità tra cariche elettive; nella promozione delle pari opportunità, per valorizzare il potenziale dei giovani, delle donne, dei nuovi cittadini immigrati.
6. Il progetto del PD richiede un forte ancoraggio all’Europa. Lo spazio europeo è quello in cui meglio si può articolare la politica estera e la politica economica di una media potenza come l’Italia, nell’epoca della globalizzazione, come già nel 2004 Romano Prodi aveva indicato, nel suo manifesto Europa: il sogno, le scelte. Il PD deve quindi contribuire alla costruzione di un nuovo centrosinistra europeo, che sappia essere portatore credibile di una proposta in grado di rispondere alle nuove esigenze di sviluppo, di allargamento delle libertà, di inclusione sociale, di promozione di un multilateralismo attivo.
7. Il PD dovrà essere un partito con cultura di governo, che nasce cioè connotato dalla vocazione ad assumersi la responsabilità del governare, per tradurre in decisioni le scelte programmatiche di cui è portatore.

Essere «partito di governo» ha alcune importanti implicazioni: significa, anzitutto, saper essere un partito che guida uno schieramento ma che parla a tutti i cittadini, perché governare in modo responsabile è sempre porsi il problema di quale sia l’interesse generale del Paese. Significa anche essere un partito che «sta al governo come sta all’opposizione», nel senso che non teme il conflitto ma sa canalizzare le spinte al cambiamento, perché ha sempre ben chiare le compatibilità a cui è sottoposta l’azione dei poteri pubblici. In questa ispirazione è fondamentale l’idea che una forza politica deve essere anzitutto «per» qualcosa e non «contro» qualcuno, deve essere portatrice di una visione e di un messaggio positivi e propositivi, deve essere capace di un’efficace analisi della situazione politica, economica e sociale che circoscriva lo spettro delle riforme possibili.
8. La capacità di elaborazione del PD dovrebbe caratterizzarsi per un passaggio dal programma alla rete. Al rito del programma come evento «pesante» (in molti sensi) e simbolico, legato alle scadenze elettorali, va sostituita la capacità di mettere in rete competenze in modo continuativo. Nella nostra società, complessa e diversificata, in cui la centralità della politica è ormai un retaggio del passato, i partiti hanno cessato di essere i luoghi-principe dell’elaborazione culturale. Si tratta di un dato positivo e irreversibile. Oggi il loro compito è, piuttosto, tenere insieme competenze diffuse – attivabili tempestivamente, in forme agili, su tematiche specifiche – in grado di assicurare continuità alla riflessione sui temi di maggior rilievo, in modo distaccato dalla quotidianità della polemica politica.


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iche affini e con i think-tank a loro vicini, oltre che per attingere alle migliori pratiche di governo di altri paesi.
9. Infine, il progetto del PD non è neutrale rispetto all’assetto istituzionale e alla legge elettorale. Il tipo di offerta politica che ispira il PD, forza di riferimento del centrosinistra, è in sintonia con il ritorno a un sistema maggioritario, anche come garanzia del mantenimento di un sistema bipolare. Il PD, per vocazione politica e per concezione della democrazia, deve essere in grado di proporre ai cittadini italiani «una coalizione, un programma, un leader». Il PD è dunque, per sua natura, portatore di un progetto di modernizzazione istituzionale che passa anche attraverso un aggiornamento della Costituzione del 1948. Questo percorso avviato in forma consensuale per iniziativa del centrosinistra nella XIII legislatura si è interrotto ed ha poi preso un pessima piega nella XIV legislatura, quando il centrodestra ha voluto approvare una ampia riforma a maggioranza. Dopo il referendum il processo di ammodernamento delle istituzioni dovrà essere rimesso in moto, anche attraverso una legislazione che promuova il pluralismo dell’informazione, attraverso un riforma dei regolamenti parlamentari che valorizzi le aggregazioni invece di incentivare le divisioni, una revisione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti che vada nella stessa direzione e li spinga a investire più di quanto facciano oggi in formazione e conoscenza dei problemi.

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