Una Amministrazione di qualità

10 Mar 2006

Il Programma di Governo proposto dall’Unione è molto chiaro sul ruolo che la P.A. deve giocare a sostegno dello sviluppo economico-sociale del Paese: il successo del Governo e del suo programma, la governabilità del Paese e la soddisfazione delle ampie attese di soluzione dei problemi, passa necessariamente attraverso l’azione efficace dell’ampia ed estremamente ramificata Amministrazione pubblica e della sua classe dirigente.La vastità dei problemi che dilaniano il nostro Paese richiede fortemente l’esercizio di una Capacità di Governo esercitato nell’interesse dell’intera collettività.Non c’è alcuna politica, decisione, azione delle rappresentanze politico-istituzionali il cui successo non sia mediato dalla capacità di una qualche organizzazione pubblica, e del suo personale, di “farsi carico” correttamente del “senso” dell’input politico – strategico ricevuto, e renderlo operazionabile ed agito con coerenza.Ma nel contempo, non c’è alcun Vertice politico-istituzionale che, nell’esercizio delle sue prerogative di indirizzo e governo, possa prendere decisioni efficaci, compatibili e sostenibili, senza sfruttare appieno il contributo di conoscenza e competenza che risiede dentro un “organismo vitale”, estremamente ramificato, come l’Amministrazione pubblica, che interagisce quotidianamente con il contesto esterno.
E’ molto apprezzabile che tutto ciò emerga dal Programma come priorità di Governo, al punto tale da sostenere la necessità che le politiche di Innovazione e riforma della PA siano poste sotto il coordinamento diretto del Presidente del Consiglio, sull’esempio del N.P.R.

di Clinton.
Tuttavia, dal Programma dell’Unione, nel tracciare le linee di intervento, traspaiono “ricette” talvolta eccessivamente semplificative, con qualche ritorno al passato :• Immagina efficienti soluzioni centralistiche (Commissioni, Cabine di regia, Nuclei di valutazione, etc.) affollate di intelligenze superiori (gli accademici), • punta spesso su ampie capacità di auto-rigenerazione interna alla stessa cultura amministrativa (i Concorsi, i 1000 “giovani e forti”), contando molto più del dovuto su forme di concertazione e contrattualizzazione con le parti sociali,• confida talvolta in taumaturgiche soluzioni tecnologiche, nella speranza di “svicolare” i veri e i più difficili problemi connessi alla gestione di seri progetti di cambiamento organizzativo, culturale e sociale, che modifichino sostanzialmente l’organizzazione del lavoro ed i comportamenti di dirigenti e funzionari,• rievoca Modelli di successo di altri paesi come Francia (ENA), U.K. (Civil Servant Commission), USA (Reinventing Government), senza chiedersi quali siano stati in realtà gli ingredienti del loro successo, e quanto essi siano riproducibili – ed a quali condizioni – nel nostro Paese.
Molti dei meccanismi proposti spesso non hanno funzionato nel passato; illudono sulla possibilità di conseguire risultati di breve periodo attraverso processi dirigistici : si fanno interventi normativo-riformistici, si allocano le responsabilità, si stanziano le risorse finanziarie, i regolamenti forniscono le indicazioni di dettaglio, i dirigenti attuano, le tecnologie informatiche rendono efficienti procedimenti e servizi; tutto si realizza a cascata dal centro alla periferia, …… presumendo che la “ macchina” burocratica, con i suoi ingranaggi fortemente “adempitivi”, sia in grado automaticamente di trasformare le “politiche” in “servizi” eccellenti conformi alle attese.

Ma soprattutto fanno leva sulla “illusione” tecnologica. Quando si gratta via la “patina colorata” di molti progetti di Riforma, si ritrovano i soliti valori e modelli consolidati, difficili da scardinare, basati su frammentazione del lavoro e delle responsabilità, sulla cultura dell’adempimento formale.E’ innegabile che molto si è fatto di positivo nel passato, ed è cresciuta nel tempo una folta schiera di dirigenti e funzionari che hanno agito efficacemente da “agenti di cambiamento”; tuttavia moltissime risorse sono state sprecate a causa di “percorsi” riformistici non appropriati. Ripercorrere antiche strade negherebbe l’essenza stessa della priorità politica che il Programma dell’Unione fortunatamente assegna al tema della Innovazione e cambiamento della Pubblica Amministrazione.
Per realizzare con successo il Programma di Governo occorrerebbe maggiore conoscenza riguardo quanto accade oggi attorno e dentro i processi di cambiamento delle pubbliche amministrazioni italiane. Tutto ciò per incidere chirurgicamente sulla sottile linea di demarcazione tra fattori esterni che inibiscono le “volontà” e meccanismi virtuosi che non scattano all’interno dell’Amministrazione. Occorrerebbe promuovere le condizioni di contesto favorevoli per facilitare le amministrazioni a progettare, attuare e sostenere gli interventi di cambiamento e miglioramento, rimuovendo i vincoli di natura giuridica, normativa, contrattuale, che inibiscono le innovazioni sia di processo che di servizio.

L’esperienza porterebbe ad osservare che la pressione dei vertici istituzionali verso i risultati spendibili immediatamente nel breve periodo – corrispondente alla precarietà del loro mandato – è sempre molto forte, e che la disponibilità della dirigenza amministrativa di farsi carico con determinazione dei processi di innovazione delle soluzioni è spesso assai limitata. Occorrerebbe allentare la separatezza forzata tra politica e amministrazione. Una separatezza che non può giocarsi su di un ruolo della dirigenza ipocritamente dedicato, da un lato, ad istruire le decisioni dei Vertici istituzionali e, dall’altro, ad aspettare ordini dall’alto. Molti ritengono auspicabili ulteriori interventi per modificare la cultura amministrativa in merito alla concezione del ruolo “dirigenziale”. Troppo spesso, purtroppo, si rileva come la concezione del ruolo dirigenziale si appiattisca sulla dimensione contrattuale e su quella giuridico- amministrativa. Fa fatica a trovare legittimazione una interpretazione del ruolo più specificamente gestionale, come ruolo complesso di responsabilità manageriale, centrato sull’esercizio di capacità di leadership strategica dell’organizzazione.
Eugenio Nunziata, 1954, è docente di Organizzazione Aziendale presso una delle storiche scuole di management per dirigenti pubblici, ed è socio fondatore di una delle più prestigiose società di consulenza direzionale italiane. Si occupa di change management, dell’impatto delle nuove tecnologie digitali sull’organizzazione del lavoro, di qualità dei Servizi, di percorsi e metodi per una efficace leadership del cambiamento, di Governance, pianificazione e controllo strategico nelle Istituzioni pubbliche.

E’ socio di LeG.

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