L’arcipelago fascista

27 Feb 2006

Ha ragione Massimo D’Alema a indignarsi per la scarsa attenzione che i media hanno dato al patto fra Berlusconi e quello che lui chiama “l’arcipelago fascista”. Ha ragione a sostenere che l’accordo con coloro che si dichiarano apertamente fascisti è fuori dalla Costituzione. Bisognerà capire perché questa Italia che si prepara al voto si sia ormai abituata a considerare normale ciò che normale non è, ciò che in altri anni ci avrebbe fatto inorridire, conquistando le prime pagine dei giornali. E dovremo anche chiederci a cosa o a chi dobbiamo esser grati per questo irrompere sulla scena politica di personaggi come Luca Romagnoli (che non si candida), segretario del Partito Movimento Sociale Fiamma Tricolore che nei giorni scorsi si è segnalato per aver messo in dubbio le camere a gas e aver definito Mussolini “uno statista”. O di Paolo Boccacci, sempre della Fiamma Tricolore, che, dopo aver capeggiato una banda del suo partito per le vie di Albano Laziale, non più tardi di due giorni orsono, ha serenamente concluso: “Siamo quello che siamo, siamo fascisti”.
A questo punto la Casa della Libertà risulta formalmente collegata a “Alternativa sociale” di Alessandra Mussolini, candidata, e di Adriano Tilgher e Fiore (non candidati); e alla Fiamma Tricolore di Romagnoli.
E’ evidente che quando il clima diventa quello delle “crociate”, quando le idee rischiano anche nelle parole delle più alte cariche istituzionali (mi riferisco a Marcello Pera) di giustificare un nazionalismo cialtronesco e casereccio, il passo al razzismo è molto breve e quello a considerare il fascismo come “normale” addirittura brevissimo.

Purtroppo la storia insegna così poco anche a chi dovrebbe conoscerla bene. E’ evidente che Berlusconi non prova brividi di ripugnanza, ad allearsi con tale personaggi. Lui la seconda parte della Costituzione l’ha già riscritta e se vincesse ancora metterebbe le mani anche sulla prima, su quei valori condivisi da democratici e comunisti.
Spiega bene Ilvo Diamanti come mai “consolidarsi delle logiche di partito” frutto della nuova legge elettorale porta ad aggregare ogni partito utile alla coalizione “anche i più estremi come i neofascisti in grado di attrarre quote aggiuntive di elettori”. Facendo i conti del disastro berlusconiano non dobbiamo dunque scordarci di aggiungere anche questa novità.
Nella prima Repubblica capitava di sentire l’onorevole Evangelisti, braccio destro di Giulio Andreotti, definire la loro corrente come quella dei “rifugiati politici” perché ne facevano parte signori della P2, signori in odore di mafia e indagati vari. Evangelisti lo diceva con ironia, e spiegava che loro non abbandonavano mai gli amici in difficoltà. Come avrebbe chiamato oggi le liste di Forza Italia guidate da personaggi come Dell’Utri e Previti, già condannati anche se non in via definitiva? E come è possibile che tanti italiani non si sentano estranei a chi mostra così scarso senso di rispetto per la legalità e la decenza? Cosa insegnano costoro ai loro figli e nipoti? Che quei poveretti sono innocenti vittime delle toghe rosse e che è normale esser fascista?
Purtroppo le conseguenze della legge elettorale sono anche altre, perché il predominare della logica di partito rischia davvero di aggravare anche nel centro sinistra la diffidenza e il distacco dalla politica che sono sempre lì, dietro l’angolo, pronti a esplodere.


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