Note di produzione

23 Feb 2006

Realizzato in sette mesi (dal maggio al dicembre del 2005), Quando c’era Silvio era in realtà in gestazione da quel gennaio del 1994, quando Berlusconi inaspettatamente scese in campo sconvolgendo la politica italiana. Tutti conoscono la storia, naturalmente. E molti che si occupano di inchieste, cinema documentario, fiction realistica, da quel tempo hanno capito di avere tra le mani “la storia grossa”. Ma, a dimostrazione che le cose più evidenti non sono sempre le più facili, film su Berlusconi, la sua storia, il suo impatto sulla società italiana o anche documenti visivi di controinformazione, finora non ne sono usciti. Perché? I perché sono molti e proviamo a indicarli. In primo luogo, la potenza reale dello stesso Berlusconi nell’industria di produzione e di distribuzione cinematografica, che ha fatto desistere tutti; in secondo luogo una sorta di divieto a trattare la materia da parte delle reti televisive, cui poteva essere destinato un prodotto per la visione di un vasto pubblico; in terzo luogo una sagace e scientifica opera di ritiro dal mercato – a opera dello stesso Berlusconi – del materiale audiovisivo che non aveva la sua approvazione. Sono spariti così dai giornali interi archivi di fotografie di cronaca, materiale girato in occasioni pubbliche ed è stato messo al sicuro tutto quanto veniva considerato non confacente per l’immagine pubblica dell’industriale diventato uomo politico. D’altro canto, è stato lo stesso Berlusconi a diffondere l’unica biografia autorizzata, sotto forma di opuscolo spedito a tutti gli italiani (Una storia italiana), che ha contribuito non poco alla sua vittoria elettorale del 2001.

Nell’opuscolo sono scelte immagini e testi rigorosamente selezionati che offrono al lettore un percorso di vita del protagonista che non consente possibilità di visioni alternative. Nell’opuscolo si vede Berlusconi ragazzo intraprendente, Berlusconi amante dei fiori, Berlusconi buon padre di famiglia (o meglio, di due famiglie), Berlusconi industriale illuminato e infine Berlusconi uomo di Stato.L’unico settore della comunicazione che ha potuto esprimersi sul Protagonista, è rimasto quello dell’editoria. Che è stata estremamente proficua: a oggi i libri, in maggioranza saggi e inchieste, su Berlusconi sono più di cento, scritti dai nomi più noti del giornalismo italiano ed europeo. I temi: le oscure origini delle fortune di Berlusconi, i suoi rapporti con la mafia siciliana, i suoi metodi di governo, i bilanci delle sue aziende, il suo potere strepitoso nei confronti del Parlamento e del sistema di comunicazioni italiane. A questo filone si sono aggiunti libri di satira, florilegi di dichiarazioni, aneddotica, per ultimo anche un inizio di gialli e di noir, e una notevole quantità di musica pop, in prevalenza satirica. Alcuni di questi libri hanno raggiunto il rango di best seller, ma non hanno trovato mai uno sbocco televisivo o cinematografico, quasi che questo fosse il confine da non varcare assolutamente; quasi che si volesse assolutamente segnare un confine tra “consumo intellettuale” e “consumo di massa”. Un piccolo esempio, fra i tanti: agli autori di questo film capitò di mandare in onda su Rai Tre un programma in cui veniva intervistato, per circa cinque minuti, il direttore del settimanale inglese The Economist, Bill Emmott, noto per aver espresso, in termini molto precisi, l’avversione del capitalismo anglosassone per la presa di potere in Italia di Silvio Berlusconi.

La questione era nota e aveva fatto la prima pagina di tutti i giornali italiani, ma in televisione praticamente la notizia non era mai passata. Ebbene, bastarono quei pochi minuti (a ora tarda) in cui si vedeva e si sentiva parlare il direttore dell’Economist, perché da parte del partito di Forza Italia si levasse una straordinaria levata di scudi, che portò alla fine del programma.
Un film sull’avventura di Silvio Berlusconi partiva quindi con numerosi handicap iniziali: di produzione, di distribuzione, di reperimento del materiale. Però era una bella sfida, che di fatto cominciò quando, dalle costole del settimanale Diario, nel maggio del 2005 a Milano, venne formalmente fondata la “Luben Production”, con lo scopo appunto di realizzare il film, e in futuro di produrne altri. Formula: dvd allegato al settimanale, un sistema di distribuzione oggi diventato molto popolare e accessibile. Il secondo passo è stato quello di comprare una solida agenda ad anelli formato A4 nella quale cominciare a scrivere idee, proposte, abbozzi, schede. Il terzo, cominciare a girare dal vivo la quotidianità dell’Italia del 2005, l’ultimo anno di governo Berlusconi, per documentare quello che era avvenuto realmente nella società.E poi, naturalmente, visionare quanto era già stato fatto: il film Citizen Berlusconi, incentrato sul suo strapotere mediatico; un altro, recentissimo e di grande successo, Viva Zapatero!, sulla censura alla satira; diverse pieces teatrali; inchieste televisive andate in onda all’estero.Ma a rivedere ora l’agenda, diventata voluminosa di fogli e foglietti attaccati con lo scotch, di post-it e di grosse frasi in lampostil, si trovano soprattutto grandi domande, dalle quali siamo partiti.

E alcuni nomi a cui sono legate. Per esempio, la curiosità di Denis Mack Smith, il famoso storico inglese del Risorgimento italiano: “Non riesco ancora a capire quale ruolo Berlusconi abbia vagheggiato per sé nella storia”, accompagnata allo humour di Winston Churchill: “Sono sicuro che la storia mi tratterà bene, perché sarò io a scriverla”. E poi Indro Montanelli, ricordando l’esperienza del fascismo, che a proposito di Berlusconi parlò di un veleno che gli italiani devono bere fino in fondo per esserne poi vaccinati. Di Benedetto Croce che parlò del fascismo come di una parentesi. C’era anche un brano di una lunga intervista di Andrea Camilleri a Diario, alla vigilia delle elezioni del 2001: “Dal punto di vista formale, certo che è una democrazia, non c’è dubbio. Ma… Nel 1945, quando fecero scempio del corpo di Mussolini – un caso di disillusione degli italiani, queste disillusioni violente – sulla rivista Mercurio, un grande giornalista inglese, Herbert Mattews, scrisse un articolo che mi è sempre rimasto in mente. Si intitolava “Non l’avete ucciso”. Diceva: il fascismo sotto forme diverse, magari di finta democrazia, ve lo porterete dietro per un centinaio di anni. Invito a rileggerlo. E ti dico che siccome l’italiano ama il Mussolini prima maniera, come avrebbe amato Perón, così ama Berlusconi. È semplicistico, però purtroppo è così”.
Ci sono i nomi di Paolo Sylos Labini, che nel 2001 lanciò insieme a Norberto Bobbio e a Carlo Galante Garrone l’allarme contro l’ascesa del “caudillo”; di Carlo Fruttero che invece lo liquidò come un “miliardario eccentrico”, di Gianni Baget Bozzo che in Lui vide l’incarnazione dello Spirito Santo.

Gianni Agnelli che nel 2001 disse (attribuito): “Se lui perde, perde lui. Se vince, vinciamo tutti”. Negli appunti c’è anche il più famoso libro italiano per l’infanzia, il Pinocchio di Collodi, straordinaria collezione di “tipi” italiani. E lì, insieme al Gatto e alla Volpe, al Magiafuoco, ai Carabinieri, alla Fata Turchina, compare anche un modernissimo Omino di Burro, una sorta d’impresario elegantissimo e affabile che convince Pinocchio e Lucignolo a seguirlo in un Paese dei Balocchi. Solo dopo stenti e patimenti, i ragazzi scopriranno che l’Omino era semplicemente un abile sfruttatore di ragazzi, con l’unico scopo di arricchirsi. (Pinocchio e l’Omino di Burro, raccontati da Lella Costa in atmosfera fiabesca, aprono e chiudono il film).
In breve, ci rendemmo conto che il film doveva essere non solo su Berlusconi, ma su Berlusconi e l’Italia, su quell’innesco che provocò dodici anni fa quando “scese in campo” e che produsse una miscela incredibile di passioni, rancori, speranze e paure che durano finora. In breve, si trattava di capire le ragioni del terremoto politico che in pochi mesi aveva cambiato radicalmente il panorama politico italiano, travolgendo abitudini e costumi consolidati da mezzo secolo. Nessuno, infatti, aveva previsto che un’azienda di pubblicità televisiva potesse trasformarsi in poche settimane nel più grande partito politico; che il “fascismo” come esperienza storica potesse venire di nuovo riproposta; che il Parlamento potesse essere usato in modo così spregiudicato; che il linguaggio stesso potesse essere così radicalmente modificato e brutalmente semplificato.

Il tutto, poi, in un decennio improvvisamente indenne dalla violenza criminal-politica che aveva segnato l’Italia degli ultimi trent’anni. E così, ragionando per esempio sui tempi, ci è venuto in mente che stavamo ormai ragionando su periodi lunghi della storia: un adolescente di oggi era appena nato quando Berlusconi scese in campo e, probabilmente, se pensa a un politico, pensa solo a lui. Una donna colpita da una totale amnesia, sottoposta a diverse foto, tra cui quelle dei suoi familiari, non li ha riconosciuti, ma ha dimostrato segni di interesse solo di fronte a Gesù Cristo, al papa e a Silvio Berlusconi, che, a differenza degli altri due, ha saputo identificare con maggiori dettagli.Di qui l’idea di fare la cronaca di un personaggio storico. E di provare, nello stesso tempo, a estraniarci, a immaginare un film che possa essere visto ora, ma anche tra dieci o vent’anni. Girando e cercando, qualcosa si trova. Se la villa di Arcore è oggi coperta dal segreto di Stato, si può comunque trovare il gentilissimo scultore (Pietro Cascella) che lì costruì trent’anni fa l’incredibile mausoleo di cui il giovane signore fissò perimetro e concezione. Si trova, anche se con difficoltà, il cimitero in cui è sepolto a Palermo il famoso “stalliere” della villa, Vittorio Mangano; si trovano spezzoni di cronaca visiva milanese che segnano il passaggio dalla vecchia alla nuova industria, gli anni in cui cominciò tutta la storia attuale; si trova la versione integrale della famosa giornata di Silvio Berlusconi al Parlamento europeo di Strasburgo, una documentazione di cui in Italia si conosce solo l’infame battuta “kapò” rivolta al deputato socialista Martin Schultz, ma che invece fu uno strazio inquietante e soprattutto lunghissimo.Per quanto riguarda invece il processo a Marcello Dell’Utri, che ha visto per il fondatore del partito di Forza Italia una condanna a nove anni per mafia in primo grado (un argomento di cui in Italia si parla pochissimo), il senatore stesso è stato prodigo di interviste sull’argomento, ci sono milleottocento pagine che motivano la sentenza e il pubblico ministero Antonio Ingroia, che ha visto soddisfatte le sue richieste di condanna, è stato una cortesissima guida alla spiegazione dei fatti.

A settembre abbiamo cominciato a scrivere il primo abbozzo di sceneggiatura, con l’idea di realizzare una storia-documentario, qualcosa che mettesse insieme generi diversi: il reportage-inchiesta, la fotografia, i cartoons, qualche abbozzo di fiction. Carlo Boccadoro ha cominciato a lavorare stabilmente in montaggio per la musica, Elfo e Felix Petruska (ovvero Giancarlo e Mattia Ascari) hanno brillantemente risolto molti elementi narrativi con ministorie a fumetti e il trattamento animato delle fotografie.In generale, le tecniche del documentario si sono molto evolute negli ultimi anni e ispirazioni ci sono venute da più parti; in particolare da un film americano poco conosciuto, The kid stays in the picture, che narra la vita tumultuosa del produttore cinematografico Bob Evans. Da lì sono venute le idee di ricreare degli ambienti (nel nostro caso una stanza dove sono depositate le memorie dell’era berlusconica) e di farli rivivere con la voce di un protagonista fantasma. Uno splendido Karl Marx (il nostro amico Jean Blancheart) si è prestato a farsi invecchiare per commentare, sconsolato, le vicende degli intellettuali italiani. Cesare Ragazzi si è spiritosamente prestato a raccontare, da vero esperto, psicologia e business legati alla calvizie.Nell’autunno Ruben H. Oliva ha dato il taglio finale, scegliendo tra duecento ore di cronaca girate quelle in grado di resistere nel tempo; e in novembre il senatore Dell’Utri ci ha dato una mano organizzando a Sorrento un’istruttiva riunione dei suoi circoli culturali.Restava il titolo, scelto tra almeno venti alternative.

Ed eccolo qui: Quando c’era Silvio – Storia del periodo berlusconiano, a presentare un protagonista assoluto e un’ora e mezzo di immagini, fatti, notizie che alla stragrande maggioranza degli spettatori risulteranno del tutto nuove.È il primo film-documentario sull’argomento. Ne seguiranno sicuramente moltissimi altri, comunque la storia vada a finire. Ci saranno i kolossal come Il Padrino, i musical, le fiction: per raccontare l’epica o il ridicolo, il capitalismo o le sue degenerazioni, il denaro e le sue vanità, la mafia e le sue trasformazioni, Silvio Berlusconi si presta moltissimo. Ci sarà sicuramente anche il suo film, che può fare tranquillamente perché Berlusconi è stato attore, regista, organizzatore, produttore, distributore. Se non è cambiato nel frattempo, non si lascerà sfuggire questa occasione. Per intanto, ecco il nostro film. E, nei contenuti speciali, una risposta alle vostre richieste di saperne di più.

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