Valori, laicità, politica

21 Nov 2005

Quando, prima dell’estate, pensavamo a questo seminario nazionale, molti sollecitavano una riflessione su identità e valori del centrosinistra. La stessa esigenza, piú o meno in quel periodo, era stata espressa da Ezio Mauro in un articolo di fondo (14 giugno), che cito perché sintetizza bene quelle nostre discussioni. Mauro denunciava, in tutti i partiti della cosiddetta Seconda Repubblica, l’assenza “…di un deposito di tradizione, un portato di valori consolidati cui far riferimento: una politica dove molto è prassi, tutto è contemporaneo, l’identità è incerta”. Una situazione nella quale la nuova cultura teo-con –che ai tempi della mia gioventú si sarebbe chiamata clerico-fascista– rischia di essere la vera interprete di un senso comune post-moderno, cosicché, concludeva, “il centrosinistra…o trova un’identità culturale…oppure perderà le grandi sfide di questa fase, che nascono tutte dalla battaglia delle idee, piú che dagli schieramenti. Non si può reggere una partita in cui la sinistra parla di sé, mentre la destra parla della vita e della morte. Esistono valori, esistono diritti che la sinistra può testimoniare a testa alta nel mondo di oggi…”. La ragione di questa mia introduzione, piccola e modesta visto che la mia competenza professionale è in tutt’altro campo, sta nel fatto che, di fronte a un simile discorso, avevo espresso qualche perplessità. Sandra Bonsanti e Aldo Gandolfi mi invitano a riproporvi oggi, in apertura di seminario, gli stessi pensierini.

Forse perché cattolico sono particolarmente sensibile, per non dire allergico, ai cortocircuiti, non infrequenti nella mia comunità, fra radici, identità, valori, cultura, politica e civiltà. Mi è molto piaciuto, in questo senso, l’articolo del 5 ottobre di Gustavo Zagrebelski, e sono felice che abbia accettato l’invito a partecipare al nostro seminario. I richiami all’identità e ai valori che piú mi preoccupano sono naturalmente quelli di Oriana Fallaci o del presidente del Senato, che lo scorso 23 settembre, a a New York, dichiarava con garbo popperiano: “Coloro che rifiutano la nostra cultura e i nostri valori sono i nuovi cannibali. Bisogna difendersi da questi cannibali con tutti gli strumenti, anche con la forza.” Ma un po’ mi preoccupano anche quando li fa Ezio Mauro. Mi pare infatti che, almeno in un paese normale, ciò che differenzia partiti, soggetti e schieramenti politici non dovrebbero essere i valori, ma le priorità e le compatibilità fra di essi, il modo di tradurli in programmi e candidati. Gli schieramenti che si contendono il governo del nostro Paese, a maggior ragione dopo la caduta del Muro di Berlino, il convegno di Fiuggi di AN, la fine della politica come alternativa di sistema, dovrebbero tutti convenire sui valori della Costituzione Italiana, e differire nel particolare equilibrio e sintesi fra i molteplici valori che essa esprime. Limitiamoci all’esempio di due valori: libertà e giustizia, che danno il nome alla nostra associazione.

Il cuore di un’opzione politica non è la loro declamazione (chi ammetterebbe di essere a favore della tirannia e dell’ingiustizia?), ma la loro composizione e traduzione in un programma, in relazione alla situazione economico-sociale, al contesto storico, all’emergere di nuove tecnologie, eccetera. E’ chiaro che una sintesi politica coinvolge anche i molti altri valori della nostra carta fondamentale: sicurezza pubblica, sviluppo economico, tutela dell’ambiente, protezione delle fasce sociali piú deboli, rispetto degli equilibri della finanza pubblica. In un’intervista alla Repubblica Mario Monti (all’epoca della sua defenestrazione dalla Commissione Europea) raccontava, ad esempio di aver persuaso il cardinal Glemp (rispetto all’adesione della Polonia all’Unione Europea) dicendogli che il rispetto della vita fin dalla nascita si ottiene anche evitando che ogni neonato nasca con un pesante fardello di debiti sulle spalle. Il richiamo di Mauro a valori e identità del centrosinistra, da contrapporre a quelli del centrodestra, mi preoccupa un po’ se racchiude un’involontaria nostalgia per i tempi in cui i partiti di governo e di opposizione, con l’esclusione della piccola pattuglia dei laici, si presentavano agli elettori come grandi chiese, come depositari di una visione del mondo globale. Non dovremmo rincorrere gli avversari su questo terreno. Mi pare che la laicità della politica in senso lato stia proprio nel definire pubblicamente, in modo partecipato, come avvenne nella campagna elettorale del 1996 per l’entrata nell’Euro, le linee essenziali di un programma: entusiasmare gli elettori con un progetto per l’Italia che rappresenti la migliore sintesi dei valori costituzionali e appaia realizzabile con successo nel lasso di tempo di una o due legislature.

Superando la mia naturale allergia ai cortocircuiti devo però ammettere che il richiamo di Mauro racchiude anche tre elementi su cui vale la pena di riflettere. Anzitutto la laica distinzione ed inevitabile mediazione fra valori e progetti non equivale affatto alla legittimazione di ogni prassi e tattica, e non sono sicuro che il quinquennio di governo del centrosinistra, da questo punto di vista, sia stato sempre esemplare. Se ci interroghiamo sui valori del centrosinistra è anche perché scelte, schieramenti e leader del nostro campo, quando eravamo al governo e talvolta anche dopo, non hanno sempre dato l’impressione di essere saldamente ancorate ad un progetto e ispirate a valori non negoziabili. Un secondo elemento è un dilemma di lungo periodo, del quale oggi, dopo il quinquennio berlusconiano, vediamo tutta la gravità: la destra attualmente al governo condivide davvero, e fino in fondo, i valori della nostra Costituzione? Dalle leggi vergogna a quelle sull’informazione televisiva, fino alle scelte di politica estera (e di guerra), passando per le piú varie esternazioni del Presidente del Consiglio –Mussolini che in fondo non ha fatto male a nessuno, la Costituzione d’ispirazione sovietica, l’incoraggiamento a chi non paga le tasse e cosí via– siamo arrivati all’approvazione, senza il consenso e l’apporto dell’opposizione, di una nuova legge elettorale di dubbia costituzionalità (oltre ad essere tale da “avvelenare i pozzi” in caso di vittoria del centrosinistra), e infine di una riforma costituzionale che, pur non rinnegando formalmente i valori fondanti contenuti nella prima parte, la stravolge.

Il fatto che tre giorni fa il principale demiurgo della svolta di Fiuggi, il professor Fisichella, vicepresidente del Senato, abbia votato contro questa riforma costituzionale e si sia contestualmente dimesso da AN, la dice lunga. In queste condizioni non è facile mantenere un britannico e laico stile di confronto programmatico, facendo finta che almeno nel suo insieme la destra al governo condivida i valori di fondo della Costituzione. Al di là dei singoli provvedimenti, nell’offensiva culturale prima che governativa di questa destra il rischio peggiore è forse l’erosione della base etica comune, il rischio di un Paese diviso nella sua base etica. In questa condizione patologica non pare difficile identificare valori e diritti che caratterizzano il centrosinistra: dovrebbero essere comuni ai nostri avversari, ma almeno per noi sono ancora e sempre quelli della Costituzione. La sfida sarà quella di dover, al tempo stesso, agire su due piani: proporre un progetto del nostro schieramento, che, come accennavo, rappresenti la nostra particolare sintesi dei valori costituzionali; ma anche difendere, in quanto tale, la Costituzione di tutti, non solo con la battaglia referendaria, ma anche nello stile, nella cultura, nel dibattito pubblico. E fare questa difesa inflessibilmente ma amabilmente, schivando la tentazione di definire barbari o cannibali i nostri avversari: cercando di non contribuire ulteriormente all’erosione della base etica comune, di non dividere il Paese, di sfuggire, malgré tout, la trappola di nuovi steccati.

In proposito l’ultima, grande difficoltà è quella dei nuovi diritti e dei nuovi grandi interrogativi etici di grande rilevanza sociale legati a tre fenomeni in sempre piú rapida evoluzione: lo sviluppo della scienza e della tecnologia, l’evoluzione dei costumi, l’incontro di diverse culture etnie e religioni legato alla globalizzazione e ai grandi moti migratori. Anche in questo senso, specialmente se governeremo, ritengo che la guida della nostra Costituzione rappresenti ancora un saldo punto di riferimento, riguardo al metodo oltre che al merito: come diceva Piero Fassino alla presentazione dell’ultimo libro di Scoppola e Tognon quattro giorni fa, quando avremo la maggioranza in Parlamento non dovremo fare come loro. Non dovremo procedere su temi sensibili e di rilevanza costituzionale a colpi di maggioranza. Su questi temi dovremo saper rimettere insieme il Paese e trascinare di nuovo su un terreno di incontro e dialogo il meglio di tutte le energie culturali, sociali, politiche e religiose. Come nel ‘46. Oggi sembra un sogno. Domani, nel 2006, potrebbe diventare realtà.

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