La Costituzione italiana, Carta fondamentale dei valori

21 Nov 2005

Gustavo Zagrebelsky Presidente Onorario Libertà e Giustizia

Innazitutto ringrazio Sandra Bonsanti e Libertà e Giustizia per questo convegno. Tema: Riforma della Costituzione e dei suoi fondamenti. Non posso esimermi dal considerare questi argomenti in relazione al momento che stiamo vivendo. Sento forte la tentazione di dire qualcosa sulle cose testè udite… Due piccole cose. Una precisazione lessicale, un po’ da giurista. Sono un giurista positivo e dalle letture bibliche di Mario Pirani vi porto al lessico da giurista. Le letture bibliche mi portano a fare questa considerazione: di come sarebbe importante la conoscenza della Bibbia nella nostra società e di come l’ignoranza sia pressoché totale e di come sarebbe cosa buona sostenere l’appello lanciato dall’associazione laica di lettura delle Scritture che si chiama Biblia. Ho aderito a questa iniziativa, nelle scuole è una lacuna intollerabile: si studiano tante sciocchezze e questo fondamento, per qualcuno un fondamento di fede, per qualcuno un fondamento storico e per altri un fondamento morale. La lettura dei libri sapienziali che non a caso si chiamano così, è una alimentazione continua dello spitito che prescinede dal fatto che si considerino queste parole come parole di Dio.Venendo alla questione “religione e politica”, vorrei ricordare qui una battuta di Gian Enrico Rusconi che una volta ha detto: “dobbiamo farci tutti un po’ teologi”. Come la Chiesa si fa politica, così, per par condicio… Per cercare di capire quali sono i fondamenti della pretesa di dettare le “regole della vita buona” – cardinale Scola.

Ora a me pare che queste affermazioni siano quasi tutte discutibili. La prima forse non lo è e faccio una citazione di Benedetto XVI, riportata dai giornali di oggi: la politica non è indipendente dalla morale. Credo che siamo tutti d’accordo su questo punto. Tutti quelli che siamo qui. Per molti, dal punto di vista pratico la politica è indipendente dalla morale. Guarda caso sono poi quelli che … va be, non faccio nomiSecondo: la trascendenza è una garanzia dell’agire buono. Bisognerebbe contestare: la trascendenza è garanzia di una vita futura. Chi crede nella trascendenza ha la garanzia di una vita buona nell’aldilà. Ma anzi questa credenza mette in luce tutta la malizia della vitasu questa terra che accomuna laici, non laici e non credenti.Non è vera la battuta di Ivan Karamazoff “Se Dio non esiste, allora tutto è permesso”, è una bellissima frase che ha avuto un grande successo, ma è vero l’esatto contrario, proprio se dio esiste tutto è permesso, perché c’è garanzia di un altro mondo, di altra dimensione. Siamo tutti immersi nella comune umanità piena di difetti e di peccati, per chi crede. Terzo punto: la religione trascendente contiene in sè dettami della “vita buona”, e questi dettami sono stati dati una volta per tutti. Se prendiamo il Catechismo della chiesa cattolica, editio brevis, in una delle prime domande vi si legge che è assurdo pensare che Dio possa parlare ancora. La rivelazione è già tutta conclusa nel Nuovo Testamento.

E si cita San Benedetto da Norcia: Dio ha parlato attraverso suo figlio una volta per tutta e dunque non ha più nulla da dire. La Chiesa afferma che dio non ha più nulla da dire. Da questo deriva che la fonte ufficiale del “legislatore divino” si è spenta, resta l’interpretazione e l’interpretazione è monopolizzata dalla Chiesa che si fa interprete autentica di questi dettami. C’è una teologia della sostituzione. Tutte le chiese si basano su questa premessa. Questi punti sono una vera premessa per imposizione unilaterale e senza dibattito – questo è il punto grave – di una morale positiva della chiesa cattolica. Dovremmo farci tutti teologi e anche invitare i nostri amici credenti e sono tanti a farsi sentire, perché una delle distorsioni maggiore è nella carenza del dibattito all’interno della chiesa. Almeno un po’ di pluralismo.Altra questione prima di arrivare al mio argomento: La questione dei valori.Invito alla cautela nell’uso di questa parola. Perché se ne fa un abuso. Chi usa troppo questa parola mi sembra già un po’ losco. Nello status epistemiologico è sospetto: il valore indica qualcosa che sta davanti a noi, che vale e dunque va realizzato, un obiettivo da perseguire: così se il valore è grande, grandi sono i mezzi autorizzati per raggiungerlo; il valore massimo giustifica ogni mezzo. La teoria dei valori è cinica: tanto più è nobile il valore, tanto più siamo autorizzati a usare qualsiasi mezzo. E’ molto meglio usare la parola principio perché il principio sta alle nostre spalle.In effetti si parla spesso della cosa parlando di valori e principi: ad esempio, la pace se è posta come obbiettivo, come valore, il suo raggiungimento può giustificare qualsiasi mezzo, perfino la guerra: si può fare la guerra per perseguire la pace.

Se la pace è un principio non potremo mai contraddirla, non potremo fare la guerra se a guidarci è il principio della pace. E’ cambiamento di paradigma fondamentale. La stessa cosa si può fare con la Libertà o la Democrazia e per tutti i grandi principi. Ogni grande principio controlla i mezzi a disposizione per difenderlo. Il discorso sui valori tende a essere repressivo, noi abbiamo invece bisogno, in questo momento politico, di speranze.Ho trasbordato, scusate. Vengo al mio argomento in relazione al momento storico: l’approvazione della riforma cost e nel prossimo futuro il referendum. Bonsanti ha detto ci prepariamo a questa scadenza per dire un bel no. Ecco io ho dei dubbi che sia così bello, che si presenti in termini così belli. E‘ chiaro che se al referendum vince il sì, la partita si chiude: avremo una nuova seconda parte della Costituzione, si applicheranno queste nuove norme che inevitabilmente condizioneranno anche la prima parte e quel che ha da venire, verrà. Ma se vince il no, come prima conseguenza non avremo questa riforma. E poi? Il mio collega della Corte costituzionale Mauro Ferri mi ha detto “ma perché non si propone una bella riforma: che dice semplicemente: sono abrogate tutte le riforme costituzionali dal ’48 a oggi”.
C’è stata una fiducia eccessiva nel giurisdicismo. Per esempio, pensate alla modifica dell’articolo 79 che regola amnistia e indulto è stato modificato. Siccome il nostro Parlamento ne faceva un abuso, si è pensato di alzare il quorum per il consenso: oggi non si può più usarlo, perché il quorum è troppo elevato.

E’ sensato modificare così? C’è insomma una maggioranza che riconosce di abusare di quella norma, ma invece di darsi una misura, un limite, preferisce cambiare la regola. Da dieci anni non si è più fatta un’amnistia o meglio si sono fatte amnistie con mezzi fraudolenti.
Torniamo al punto. Si vota no, prevale il no. E poi? Credo che prima si debba dare una risposta agli elettori. I cittadini devono sapere per cosa vano a votare. Certo, per eliminare questa riforma, ma per cosa poi. Qui si apre un’alternativa che finora non è emersa ma comincia a emergere: prima possibilità è che il no dica: riportiamo in onore la vecchia Costituzione; seconda possiilità, si vota no perché si riaprirà da parte nostra, quando avremo vinto le elezioni (sempre che le vincano) una nuova fase costituente. Cioè saremo noi a fare meglio ciò che male ha fatto il centrodestra. Possiamo avere le nostre preferenze oggi, ma certo che il quadro non è affatto chiaro. Credo che debba essere chiarito. Aggiungo: sono uno di quelli che viene considerato, come il presidente Scalfaro, nobilmente conservatore della Costituzione. Ecco, vorrei che si eliminasse il nobilmente e si dicesse che in materia costituzionale il termine conservatore ha tutto un altro significato. Mi dà fastidio questa posizione donchiquottesca… Ci sono buone ragioni per continuare a riconoscerci in questa Costituzione, la quale ha bisogno dopo 25 anni di operazioni riformatrici, semmai di un’opera di ri-legittimazione culturale.

Mi pare di osservare nel dibattito di chi fa battaglia per il no una posizione di equivocità: si pensa di uscire dal problema con le parole, non con le cose. Perché seguendo le discussioni che si fanno in circoli politico-culturali, si dicono le cose più diverse. Tutti dicono: noi stiamo nell’alveo della Costituzione”. Ma è sufficiente questo? Alcuni dicono col referendum si boccia la riforma e si ritorna alla Costituzione – posizione più radicale. Poi però c’è sempre qualcuno che aggiunge: “però, certo, qualcosa andrà pur rivisto… Non fosse altro lo sciagurato titolo V approvato alla fine della legislatura precedente”. No, li capisco. Bisognerebbe metter mano ad alcuni difetti che ci sono e farlo con occhio pratico. Poi si va oltre. C’è anche chi parla di manutenzione della Costituzione. Attenzione però perché c’è una manutenzione ordinaria e una manutenzione straordinaria.
La manutenzione straordinaria può portare a un ripensamento di interi istituti costituzionali, in vista di esigenze sentite, di semplificazione delle procedure, di nuovi rapporti di fiducia.Infine, si passa al gradino superiore: “bisogna adeguare la Costituzione alla nuova situazione politica”.Oggi siamo in un sitema bipolare, l’aggettivo nuova può consentire di invocare l’assemblea costituente.
Non otterremo chiarezza, credo. La risposta ce l’avremo in sede di elaborazione di programmi elettorali.Da quello che so, le prospettive sono tutt’altro che tranquillizzanti.
Nei fatti, e da circa venti anni, si è delegittimata la nostra Costituzione, ma soprattutto si è intaccata la persistenza delle sue ragioni storiche.La causa più importante di questo “relativismo” è il cambiamento psicologico nei confronti della Costituzione da parte delle forze politiche; la Costituzione sta “sopra” alle forze politiche, mentre l’atteggiamento psicologico dominante negli ultimi anni porta a porre la Costituzione al di sotto delle necessità politiche contingenti (l’es.più ricorrente è la cosiddetta “governabilità”).Ricordiamoci che i “discorsi” alla base dei principi costituzionali devono partire dal “basso”, dalla società, che non ha richiesto – mi risulta – riforme di questi principi.

Ragioniamo invece sull’opportunità caldeggiata da altri di rimettere mano alla Costituzione perché ci sono cose inattuali e che non vanno. In questo caso si corre il rischio di vari pericoli, l’eterogenesi dei fini ed un continuo vaniloquio senza conclusioni, tra i primi. In realtà la nostra Carta costituzionale ha delle carenze e lacune, anche importanti: es.pensiamo all’art.21 sulla libertà di manifestare il proprio pensiero. Ma c’è ancora bisogno di ragionare di censura? E’ un articolo ormai vecchio rispetto alle opportunità offerte dai nuovi media, o l’assurda carenza di norme di collegamento tra il sistema giuridico nazionale e quello dell’Unione Europea (quali riserve dell’uno o dell’altro), o tutte le tematiche inerenti ai cosiddetti “nuovi diritti”…Chi, fino ad oggi, ha posto la necessità di partire da questi problemi per “aggiornare” la nostra Costituzione? Mi pare nessuno.Si è giunti a tutto questo anche, e soprattutto, perché si sono perse le radici storiche e spirituali della nostra Costituzione, che non nacque per un arido e calcolato disegno scientifico (un po’ come invece fu la costituzione di Weimar, o costituzione “dei professori”). La nostra è invece una Costituzione basata sull’esperienza, una Costituzione di reazione a un passato con il quale dover chiudere i conti.La nostra Costituzione è nata in un clima antifascista il che non vuol dire riaprire le questioni riguardanti la pacificazione del nostro paese…

E’ Costituzione che si può definire antifascista perché contiene dei principi che sono stati stabiliti in opposizione ai principi della politica del fascismo.L’articolo 11 fa divieto della guerra – con tutti i limiti: guerra difensiva, intervento umanitario ecc. – perché c’era l’esperienza di una guerra mondiale con più di 50 milioni di morti in tutta Europa e un regime che aveva fatto della guerra una componente ordinaria della propria esistenza e della propria propensione nazionalistica. La nostra Costituzione contiene principi di libertà perché nel regime precedente ..La nostra Costituzione è democratico partecipativa, basata sulle associazioni i partiti, perché il regime precedente si basava sul principio sommo dei sistemi di tipo cesaristico per cui il potere si sviluppa dall’alto e il consenso nasce dal basso, principio contenuto nello statuto del Partito nazionale fascista. Tutte queste cose si potrebbero ripetere in relazione a tutti i grandi principi contenuti nella nostra costituzione. Il problema è sapere rispetto al momento attuale se questo atteggiamento – in una parola avete capito cosa intendo dire con il termine antifascista – è ancora attuale. La mia risposta è che sì, è attuale, naturalmente considerando che noi non abbiamo più il fascismo, ma abbiamo delle tendenze diciamo nello sviluppo della vita pratico-politico attuale, che in qualche modo richiamano. Un esempio soltanto: una democrazia partecipativa, ma tutti gli svilupi che abbiamo avuto negli ultimi anni sono il contrario di questo.

Ai cittadini si chiede il consenso alle politiche; i partiti sono stati pressoché distrutti o hanno cambiato natura. E da ultimo, la legge elettorale sembra fatta apposta per santificare questo principio: si eliminano le preferenze, i cittadini hanno i loro inconvenienti ma anche i loro pregi e la determinazione delle candidature viene fatta dalla segreteria dei partiti, che ormai sono piccoli gruppi di potere. Questa nuova legge elettorale, tra i tanti difetti, ha anche questa caratteristica di fotografare questa involuzione della politica. Quindi riscoprire le ragioni di base della cos di allora è facile, l’ho fatta tante volte in occasione di questi incontri sul territorio e sorprende come i principi che stavano prima della costituente si possono rispecchiare naturalmente in forma molto diversa ma anche nella situazione attuale. Quindi c’è la possibilità di rivalorizzare la Costituzione. Limitarsi al referendum, chiedendo un no alla riforma ma con l’idea di elaborare un proprio programma di riforme costituzionali alternativo, in primo luogo aprirà delle fratture all’interno dello stesso centrosinistra, ma soprattutto e questo sta già avvenendo in queste ore, l’indicazione dei problemi costituzionali da trattare in sede di riforma della Costituzione da parte dei fautori del no, per larga parte ripercorre i temi che sono stati trattati da questa riforma. La modifica del titolo V, la razionalizzazione dei rapporti parlamento governo, maggiornaza opposizione. E sarà facilissimo dire: ma voi proponete con le vostre armi quello che abbiamo fatto noi.

Dove sta allora questo grande scandalo della nuova Costituzione che voi ci rimproverate, voi state seguendo per buona parte una strada che già noi abbiamo percorso. E allora? Sì, è vero che questa riforma che è stata fatta contenga difetti, ma ci penseremo dopo: nulla è immodificabile. Lo stesso presidente Casini ha detto che ci sono cose che lo convincono poco, si potrà ritornare. Allora perché combattere questa battaglia, stiamo a vedere e al massimo faremo poi qualche modifica. La realtà è che questa riforma costituzionale non è così devastante per quello che ci sta scritto dentro. La riforma del titolo V sotto certi aspetti è perfino una razionalizzazione: riporta a livello centrale competenze che in passato in maniera del tutto inopinata erano state passate alle regioni, tipo le grandi infrastrutture. Che senso ha? Il nuovo titolo v stabilisce che le funzioni amministrative sono in linea di principio dei comuni. Allora il ponte di Messina cosa è? E’ il comune di Messina e quello di Villa San Giovanni che lo fanno, con le loro forze finanziarie? Evidentemente no. Alcune le sta correggendo. Il titolo V è tutto un grande punto interrogativo perché sì, introduce la possibilità, non la necessità che l’Italia sia scardinata, che il sistema sanitario venga distrutto in 20 microsistemi senza collegamenti tra di loro, ma è una eventualità, non è affatto una necessità, perché esistono nel testo approvato dei meccanismi di perequazione finanziaria, bisognerà vedere se e come questi meccanismi funzionano, perché la finanza regionale è uno di quei taboo, tutti noi sappiamo che il sistema federale non può funzionare se non c’è un sistema di finanza pubblica conforme alla distribuzione dei poteri, ma in questi anni non s’è fatto nulla.

E’ un problema di difficilissima soluzione. Comunque, nella Carta, è previsto l’intervento perequativo, così come è previsto che il legislatore nazionale stabilisca degli standard minimi comuni a tutte le regioni. Allora: standard di prestazioni minime con risorse adeguate per tutte le regioni, è chiaro che quel pericolo di frantuazione viene meno. E così per la scuola, esistono dei poteri che si possono utilizzare per mantenere l’unitarietà del sistema scolastico: bisogna vedere se saranno utilizati, questo per quanto riguarda il capitolo regioni o devolution come si dice. Per quanto riguarda la forma di governo, questa contiene certo degli aspetti molto brutti di per sè, come il deperimento dei poteri di garanzia del presidente della Repubblica, questa è una cosa che crea inquietudine per tutti, la stessa corte costituzionale diventerebbe un organo a partecipazione politica più accentuata, ma il vero tarlo di questa riforma sta nella contraddizione dell’impianto. Chi ha studiato più a fondo la forma di governo nuova teme, può temere l’uomo forte, ma teme prima di tutto la ingovernabilità, cioè l’irrazionalità della distribuzione dei poteri tra Camera dei deputati e Senato federale e regionale. Si potrà dire: si interverrà per correggere questi aspetti di cattivo coordinamento. Ora la ingovernabilità naturalmete è un difetto grave una democrazia che non si può governare, due camere legislative che non si sa bene entro quali confini sono chiamati a decidere.

La distribuzione delle competenze, posto che non sarà più un sistema bicamerale come l’attuale in cui ciascuna camera fa esattamente la stessa cosa dell’altra ma ci sarà una distribuzione di compiti in relazione alle diverse materie e se voi leggete questa distribuzione delle materie, vi renderete conto che è stato messo in piedi un sistema, per usare parole che siano consone alla adeguatezza dell’argomento. Prendiamo come esempio la materia della tutela dell’ambiente. ‘ di competenza regionale, in questa materia dunque si dovrebbe pronunciare il Senato federale ma le norme che fanno parte della disciplina dell’ambiente spesso sono norme penali in cui si prevede un determinato illecito, l’inquionamento per esempio, a cui consegue una sanzione penale che è di competenza nazionale, quindi della camera dei deputati. Che si fa? Chiunque diffonde materiale radioattivo nell’ambiente (materia dell’ambiente), è punito con la reclusione fino a tre anni (materia penale). Allora il nostro ministro delle riforme ha detto: benissimo, la prima parte viene deliberata dal senato, la seconda dalla camera. Quindi il Senato si troverà a deliberare su una affermazione come: chiunque diffonda materiale radioattivo nell’ambiente, la camera delibererà su: è punito con … E’ un ritorno alla grande della distinzione tra precetto e sanzione degli antichi penalisti. ma tutto questo è miseria costituzionale, il vero terreno su cui si devono concentrare le preoccupazione è ciò che sta prima il testo o, se volete, ciò che sta dopo e cioè il fatto che questo stesso testo venisse da una classe politica con il senso delle istituzioni ci apparirebbe in un aluce profondamente diversa da quella in cui ci sappare oggi.

Ma non si tratta di fare una critica alle persone, ai dirigenti di partito, a questo o a quello, quanto di prendere atto che ciò che è venuto meno nel nostro paese, almeno in relazione a una parte dello schieramento politico è quello che si chiama – in mancanza di meglio – cultura delle istituzioni. E queste noprme in manio a coloro che ne sono completamente privi e sono capaci di tutto sol perché hanno al amaggioranza in mano, queste norme sì che diventasno pericolose. E allora per concludere, se vogliamo difendere la Costituzione, un’idea costituzionale della nostra vita comune, più che un testo, dobbiamo ricominciare da lì. Non tanto dalla critica di questa o quella norma, perché lì ci si perde e ci si divide mentre invece dovremmo trovare un terreno comune di unità nella discussione dei fondamenti che sono ciò che sta prima anche di un testo costituzionale e forse su quel terreno riusciremmo a rilegittimare la costituzione che abbiamo. Aplausi

Nato a San Germano Chisone (To) il 1° giugno 1943. Laureato a Torino, Facoltà di Giurisprudenza, nel 1966, in diritto costituzionale, col professor Leopoldo Elia.

  • Professore di diritto costituzionale e diritto costituzionale comparato alla Facoltà di Giurisprudenza e alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Sassari dal 1969 a 1975.
  • Professore di diritto costituzionale comparato alla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Torino dal 1975.
  • Professore di diritto costituzionale alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, dal 1980 al 1995.

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