Niente quorum, fallito il referendum

13 Giu 2005

I primi dati del Viminale non lasciano di certo molto spazio al dubbio: in 70 province su 110, ha votato il 24,8 per cento degli elettori. Un risultato, quello finale, nettamente inferiore alle aspettative. Più basso addirittura del il referendum del 2003 sull’articolo 18 che la domenica sera fece segnare il 17,5 per cento, per fermarsi il lunedì al 25,7 . “Non sono deluso, non mi ero illuso, ritenevo che il 40 per cento fosse già un obiettivo molto difficile”, commenta il leader radicale Marco Pannella, prima della chiusura delle votazioni. L’astensionista Giovanardi esulta: “Ha vinto il Parlamento”. Dura la reazione di Rosy Bindi: “Il cardinale Ruini è sicuramente il vincitore del referendum, su questo non c’è dubbio”, spiega la deputata della Margherita. Poi aggiunge: “Penso che a Ruini interessasse non vincere il referendum o difendere una legge, ma piuttosto l’affermazione di alcuni valori. E non so se vincere con l’astensione vuol dire affermare questi valori”. Quel che è certo è che il referendum è fallito. Ma in attesa del verdetto definitivo, gli esponenti politici dell’una e dell’altra parte si concentrano già sul dopo voto. I radicali, per primi, hanno previsto un appuntamento per il 17 giugno quando partirà la tre giorni dell’Assemblea dei 1000 con tutto l’arcipelago scientifico e politico del fronte del Sì. Un’assemblea che dovrà gestire la sconfitta e fare in modo di contrastare la revanche dei vincenti. Obiettivo politico: rilanciare il dialogo radicali-sinistra.

“Dire che è in atto un riavvicinamento dei radicali alla sinistra è forse troppo. Ma è evidente – avverte Pannella – che in questi referendum abbiamo infuso insieme energie ed entusiasmo. Da qui partiamo”. Tra gli sconfitti illustri, Gianfranco Fini che, con la sua posizione, ha scatenato un putiferio all’interno di An. Ora che il quadro dei risultati è quasi definitivo dice: “Ho la certezza di aver agito secondo coscienza”. Lanfranco Turci, presidente del Comitato per il Sì guarda oltre il risultato elettorale e nel dire “non ha vinto il No, ha vinto l’astensione”, chiede che il Parlamento riprenda in mano la legge 40 sulla procreazione, anche perché “molti di quelli che hanno fatto campagna per l’astensione sostenevano che toccava al Parlamento migliorare la legge. Ora mantengano la promessa”. Richiesta ribadita anche da Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei valori che di fronte alla disfatta della consultazione, non rinuncia comunque a pungere: “Il fallimento del referendum sulla procreazione assistita è indubbiamente una sconfitta per chi l’ha promosso. È però stata una vittoria con il trucco da parte di chi l’ha contrastato. Ma i referendari non ci stanno a darsi per sconfitti prima del tempo: “Daremo battaglia fino all’ultimo”, dice la Ds Barbara Pollastrini. In ogni caso, avvertono che, comunque andrà a finire, una vittoria dell’astensione non può (al contrario di una limpida vittoria del No nelle urne) bloccare la necessaria revisione della legge.

Né, con Fassino, ritengono che un successo dell’astensione possa avere effetti politici: “Sicuramente – dice a Radio Radicale – da domani qualche forzatura sarà tentata” , ma al referendum “non si vota per Berlusconi o per Prodi”.

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