C’è un’Italia da scoprire

13 Giu 2005

Da un po’ di giorni mi rigiravo tra le mani un piccolo volantino ingiallito di trent’anni fa. La scritta da entrambi i lati dice: “10 maggio ore 18,30 Piazza del Popolo: La Malfa, Malagodi, Nenni, Parri, Saragat per il NO”.
Oggi guardo quel pezzo di carta e lo interrogo. Cerco anche lì, nella storia del nostro Paese, i motivi di questa fuga degli italiani dal referendum. Certo la Chiesa allora aveva giocato un ruolo diverso: aveva cercato fra la gente quel rifiuto del divorzio che in Parlamento non era riuscita ad ottenere. E non lo ottenne nemmeno fra gli italiani. Oggi è stata un’altra storia: la Chiesa ha vinto in Parlamento e poi ha vinto convincendo la gente a non andare a votare. Certo, penso ancora guardando quel volantino, sarebbe stato più difficile persuadere all’astensione se a chiamare a raccolta avessimo avuto quei cinque di Piazza del Popolo, o politici di quella statura. Ma provare a sostituirli con i pallidi corrispettivi di oggi è un’operazione davvero da nostalgici. A che serve?
Il volantino invece è utile se si cerca di capire il messaggio che trasmette: il referendum deve essere una cosa semplice, che deve arrivare ai cittadini con un solo sì o un solo no, una domanda chiara, che non metta in imbarazzo chi deve decidere se andare o non andare a votare e come votare. In questi anni i quesiti referendari si sono trasformati in una sorta di interrogazione scolastica, un esame ostico al quale molti non si sentono preparati.
Così è accaduto anche questa volta.

Le motivazioni per le quali si chiamava a votare erano tutte giuste, ma di natura eterogenea: c’era la necessità della ricerca scientifica e dunque la possibilità di individuare cure per le sofferenze; c’era la possibilità di intervenire prestissimo nella diagnosi di gravissime malattie; e c’era infine la possibilità di essere padri e madri assistiti se necessario. Temi molto complessi, spesso ridicolmente semplificati da tutte le parti, che per molta gente hanno continuato a mantenere una carica di segreta, intima estraneità.
Le lezioni da trarre sono tante, bisognerebbe che nessuno strumentalizzasse questo non voto. Ma con la tensione fra maggioranza e opposizione e la tensione interna ai due schieramenti c’è da aspettarsi di tutto. E non solo la testa di Fini offerta al cardinal Ruini su un piatto d’argento.
In fondo l’Italia del volantino di La Malfa e Nenni era un’Italia più facile da capire. Era quella laica che aveva radici e origini ben precise, abituata a trattare con la Dc e con la Chiesa e per tanti anni ad uscire sconfitta alle urne, abituata a confrontarsi col Pci che però manifestava per conto suo, un’Italia ancora grata a chi aveva conquistato la possibilità di votare e gli anni di chi cercò di convincere ad andare al mare erano ancora lontani.
L’Italia che si è astenuta, oggi, va studiata ben bene da chi spera di andare a governarla la prossima volta. Non esistono rappresentazioni facili: essa si inserisce in un trend globale complicato, caratterizzato dal sopravvento di radicalismi e religioni sulle vecchie appartenenze e ideologie.

Per questo io penso che servirà molta passione e quella forza di convincimento che arriva dai valori che saranno proposti. Un programma che non parlasse di principi, non parlerebbe a nessuno. Così come leader che apparissero avari di dedizione, onestà, capacità di governo non verrebbero intesi come tali. In fondo c’è davvero un’Italia da scoprire, non è detto che sia tutta grigia e tutta sorda.

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