L’eredità di Craxi

15 Feb 2005

Improvvisamente, ci stanno piombando addosso gli anni Settanta e gli anni Ottanta: c’è una gran fretta di sistemare quel periodo, improvvisamente c’è chi sente il dovere o la necessità di far tornare i conti, di recuperare qualcosa di allora, fossero pure residui oscuri.

E’ come se si volesse “rivedere” la storia prima ancora che sia stata scritta. Dargli una aggiustata, a seconda degli interessi di ognuno.

Ecco dunque che dall’oggi al domani nei Ds si sente una spinta forte a tirare in ballo Bettino Craxi, a riconoscergli i meriti che anni di una storia mal raccontata avrebbe rimosso. Rivedere i rapporti fra Psi e Pci come se qualcuno si fosse già preoccupato di ricostruire una versione seria e approfondita.

Ecco poi che da una lontana terra di latitanza un ex di Potere Operaio resuscita vecchi fantasmi, morti, assassini, cattivi maestri e accompagnatori, e tutti gli orrori degli anni di piombo tornano sotto la lente: cosa non è stato ancora detto, quanti sono sfuggiti alla giustizia, quanti hanno taciuto e dove sono e che fanno oggi i protagonisti di allora?

Paradossalmente, e senza che fosse nelle intenzioni di chi ha sollevato i casi, queste storie non scritte hanno punti in comune, si sfiorano, si accavallano. La realtà complessa di quegli anni non accetta suddivisioni nette: come il sasso nello stagno, se tocchi una vicenda, un personaggio, ne solleciti subito altri, nella memoria e nella ricostruzione degli avvenimenti.

Prendiamo ad esempio l’orrenda storia di Primavalle.

E ci accorgiamo di quanta parte della verità manchi ancora per renderne il quadro completo e chiaro. Chi vi ha preso parte ha prima negato, poi taciuto per trent’anni. Chi organizzava o sapeva si è tenuto per sé la verità: ha continuato a vivere, lavorare, insegnare ecc.come se per qualche misteriosa ragione a loro fosse risparmiato per sempre il conto con la giustizia: uccidere due ragazzi, e poi via, ricominciamo come se nulla fosse, il mondo era complesso, ognuno aveva le sue ragioni, i suoi incidenti, i suoi morti. Un bello schifo. Ma quanta gente riguarda? Quanti sono quelli che hanno taciuto o negato? E che giorno dopo giorno danno lezione di qualcosa, di garanzie tanto per cominciare…

Ma se hanno taciuto gli ex di Potere Operaio, non sono stati più loquaci gli estremisti di destra, colpevoli di un terrorismo feroce. Silenzi sui responsabili, su chi li mandava, sul perché. E se chiediamo, come chiediamo, di far luce sugli assassini politici, perché dovremmo invece accettare i silenzi e le omertà sulle stragi che hanno colpito decine di innocenti negli anni settanta (anzi dal famigerato ’69 di Piazza Fontana) e ottanta? Perché non si sono trovati i colpevoli dell’Italicus, di Brescia, della stazione di Bologna, di Ustica e così via?

E’ possibile riscrivere la storia di quegli anni se si sa ancora così poco di quel che c’era dietro e si conoscono solo, forse, gli esecutori? Vogliamo magari accontentarci della grande semplificazione che tutto giustifica in nome del mondo diviso in due, del muro di Berlino e ognuno combatteva la sua guerra, anche nel nostro Paese?

Qualche giorno fa in un’aula del Csm sono stati ricordati i venticinque anni dall’uccisione di Vittorio Bachelet.

E’ stata una grande occasione per ascoltare non solo quali fossero i principi, le idee a causa delle quali quell’uomo mite e saggio cadde sotto i colpi della Braghetti, ma anche per meditare su come si venne fuori da quegli anni terribili, il prezzo pagato. Si parlò anche, ovviamente, di Aldo Moro. Ma chi di noi cronisti di quella tragedia che cambiò la storia di Italia potrebbe oggi dire che non ci sono cose importanti ancora da sapere, che i protagonisti hanno detto tutto, che non ci sono ancora persone in giro che potrebbero scrivere alcune fondamentali pagine di verità?

Spesso le famiglie delle vittime sono state lasciate sole a chiedere giustizia. Anzi, qualcuno ha anche pensato che fossero diventate un peso, quelle commemorazioni estive, con quella gente così testarda a pretendere che siano tolti i segreti di Stato, a cercare di capire il perché i loro cari sono morti …

La nostra storia ha ancora molte, grandi lacune. E’ politica e non solo cronaca nera, la vicenda dei banchieri del Vaticano che lavoravano per la mafia e per la P2. E sarebbe compito della politica cercare di scoprire la verità su come sia andata a finire la questione degli intrecci fra mafia e politica e se sia poi veramente finita.

Ma cosa c’entra Craxi con questo ragionamento? C’entra, come tutti coloro che furono protagonisti in quegli anni della storia d’Italia. Da quando Fassino ha pronunciato il suo nome, durante la replica al congresso dei Ds, la figura del leader socialista è tornata a far discutere.

Si è fra l’altro cercato di dividere in due fasi la sua storia: una prima, buona, riformista, illuminata; una seconda in cui diventò improvvisamente Ghino di Tacco, insultò gli intellettuali e i giudici, fece il decreto ad personam per Berlusconi, e nel tentativo di portar via voti ai comunisti non badò a spese…Ma fu così che andò la storia? Perché uomini come Berlinguer e La Malfa sin dall’inizio della sua segreteria, nel 1976, diffidarono di lui? Solo perché temevano il suo spirito avventuroso? O anche perché sospettavano l’ambiguità di quel suo modo di giocare in proprio rompendo l’unità nazionale contro la sfida del terrorismo brigatista, non approvavano le frequentazioni di uomini del Psi con l’area dell’eversione di sinistra, e disdegnavano lo stile, il rozzo machiavellismo innalzato a culto, la insofferenza per i valori ereditati, quella scelta, già allora, di rivedere tutto dalle fondamenta e rendere così incerto e fragile l’intero edificio dell’Italia democratica…

E come negare, oggi, che l’eredità più dirompente che Craxi ci ha lasciato è proprio Silvio Berlusconi, l’imprenditore che non si fece dal nulla, ma soprattutto, se non soltanto, dal potere socialista degli anni ottanta? Col suo anticomunismo fasullo, col suo odio per la magistratura, col suo equivoco liberismo…con la sua falsa modernità.

Credo che prima di cominciare a “rivedere” la nostra storia politica, dovremmo conoscerla per quello che essa è stata e non per quello che vorremmo fosse stata.

Semplificare non serve. La storia, la verità si oppongono alle operazioni troppo facili o strumentali. Hanno dentro di esse un vigore, una forza di ribellione che prima o poi hanno la meglio e spazzano via le timidezze e le arroganze del potere.

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