Sandro Pertini, 15 anni dopo

11 Feb 2005

Intervento di Giovanni Bachelet al convegno “Democrazia e Legalità” della Fondazione Sandro Pertini, Palazzo Vecchio, Firenze 01/10/04
Saluto la signora Carla Pertini; il Presidente Scalfaro; il Presidente della Fondazione, Almerighi; il professor Sylos Labini. Tutti i presenti a questo tavolo, e molti dei presenti in sala, sono esperti del tema di questo convegno: Legalità e Democrazia. Io posso fornire invece soltanto qualche ricordo, vecchio di una ventina d’anni ma ancora molto vivo.Come ha già detto il Presidente Scalfaro, nel 1978 Sandro Pertini, appena eletto Presidente della Repubblica, ricordò Aldo Moro, morto due mesi prima, precisando: “se fosse vivo, lui e non io sarebbe qui”. A maggior ragione, molto a maggior ragione, posso dire che, se fosse vivo mio padre, lui e non io sarebbe qui: vedo infatti qui quasi tutti gli ex vicepresidenti del Consiglio Superiore della Magistratura.Ringrazio Mario Almerighi –collega di mio padre al Consiglio Superiore della Magistratura, ma anche unico Presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati ad aver regnato, a mio avviso molto efficacemente, per un solo giorno, nell’autunno del 1998– per avermi fatto il grandissimo onore d’invitarmi.Sandro Pertini è inseparabile dal ricordo degli ultimi anni di mio padre, quelli appunto del Consiglio Superiore della Magistratura. Il “vecchio rimbambito che scambia i corridoi del Quirinale con le trincee della Resistenza” e il “culo di pietra”, che merita solo un “cuore di piombo”, come Pertini e mio padre vennero rispettivamente definiti in altrettanti comunicati delle Brigate Rosse, si stimavano e si trovarono bene insieme.Ricordo quando passammo a rendergli omaggio, l’estate del 1978, a Selva di Val Gardena, la montagna che tutti e due amavano e frequentavano in vacanza.

Pertini gli disse: guardi che non c’e’ mica bisogno che tutti gli anni mi venga a salutare, non facciamo complimenti, qui siamo in vacanza tutti e due! Pertini era anche questo.Ricordo quando arrivai trafelato dall’aeroporto, dall’America, quel tremendo 13 febbraio del 1980. In certi momenti stentiamo a credere a quello che ci è stato detto. Entrando a casa trovai Pertini seduto sul divano del nostro salotto, vicino al professor Amaldi, con mia madre e mia sorella. Capii ancora una volta che era proprio vero: papà non c’era piú.Soltanto pochi mesi prima, a fine 1979 (svolgevo da pochi mesi il mio primo lavoro negli Stati Uniti), mio padre mi aveva segnalato, in una delle ultime lettere o telefonate, la dura reprimenda di Pertini al ministro Giannini, colpevole di aver dichiarato che “per un giovane è meglio andarsene da questa Italia”. Forse anche per questo accettai, nel 1981, una modesta e breve borsa di studio in Italia, rinunciando ad un contratto, molto migliore, dell’università di California a Berkeley. Forse anche per questo nel 1984, dopo una seconda e non breve emigrazione in Germania, tornai a lavorare in Italia, stavolta definitivamente.Fui quindi emigrante (benché emigrante di lusso, come scienziato) per quasi tutto il settennato di Pertini. Un emigrante che, con i colleghi stranieri, era molto fiero di avere “un partigiano come Presidente”, per citare un successo di Sanremo del 1983 (L’Italiano di Toto Cutugno); fiero di avere un Presidente che non mancava di ricordare, nei suoi discorsi di fine anno, che anche lui era stato emigrante, e ben sapeva che cosa vuol dire lavorare a casa d’altri; fiero di un Presidente che rappresentava, per citare un’altra canzone di quegli anni terribili ed eroici, “l’Italia che non ha paura”, “l’Italia che lavora”, “l’Italia che resiste” (Viva l’Italia, Francesco De Gregori 1979).In quegli stessi anni altri politici (oggi vivi e vegeti, e spesso ancora sulla breccia) coniavano e diffondevano lo slogan “né con lo Stato né con le Brigate Rosse”.

Anche allora, infatti, per diversi motivi, una parte del bel mondo politico si faceva beffe della legalità e del senso dello Stato; e finiva, anche allora, per prendersela coi magistrati, colpevoli di teoremi indimostrabili ed artefici di persecuzioni politiche a senso unico. Allora come oggi. Anzi, benché il contesto sia molto diverso, si tratta a volte delle stesse persone, degli stessi politici, degli stessi avvocati.Pertini invece, magari con una semplicità che veniva ridicolizzata in qualche salotto buono, si schierava, senza circonlocuzioni, dalla parte della legge: era evidente a tutti che stava dalla parte dei giudici e dei carabinieri e non apprezzava l’opera dei ladri e degli assassini. Questo dovrebbe essere ovvio per chi si trova al vertice della Repubblica; ma a quanto pare non lo era, se, nel 1985, Pertini si trovò a dover ricordare al ministro De Michelis, reduce da una stretta di mano in pubblico con Oreste Scalzone a Parigi, che lui, Pertini, non avrebbe mai stretto la mano a un latitante che, per evitare il carcere, era scappato dall’Italia.Nel ricordare Pertini c’è un unico, ma gravissimo dubbio che mi assale. Se, come diceva con disprezzo una rivista filo-terrorista di quegli anni (ritrovata su web in questi giorni), “il nostro caro Pertini, nella demagogia dello Stato assurto a Giovanni XXIII della Repubblica”, quello che anche da Presidente si paga coi soldi suoi il biglietto dei viaggi privati, non sia servito solo come falsa coscienza, come foglia di fico di un Paese irrimediabilmente corrotto e pasticcione.

Di un Paese che guazza nell’imbroglio e nel complotto, e, anziché il meglio delle radici cristiane e socialiste, laiche e liberali della Resistenza e della Costituente, mette insieme il peggio del clericalismo, del comunismo e della massoneria, il peggio di Arlecchino e Pulcinella. Il peggio del peggio, insomma, magari in nome del realismo, del bene comune, perfino del riformismo; magari in modo tale da far sembrare rimbambiti o ingenui (a seconda dell’età) quelli che lottano per un’Italia giusta e pulita, per un’Italia normale.Ma scaccio il dubbio e rispondo di no. Non è stata una foglia di fico, è stata la fionda di Davide. Lottare, anche in pochi, quando sembra impossibile vincere, è stato un insostituibile servizio alla libertà e alla giustizia, alla verità e alla pace. E’ stata efficace la lotta di Pertini contro il fascismo. E’ stato cruciale il servizio di Pertini ai vertici dello Stato, negli anni tremendi delle bombe, degli attentati terroristici, dello scandalo Lockheed, della loggia P2, dell’esplosione della mafia.L’azione di Sandro Pertini non è servita solo a salvargli l’anima. Traguardo peraltro non disprezzabile: proprio Pertini disse una volta al Papa, in cima a una montagna nevosa, “sono ateo ma, se c’è il Paradiso, ci andrò anch’io”.L’azione di Pertini è servita anche al bene di tutti. Ha mostrato che, nei momenti difficili, pochi giusti coraggiosi sono sufficienti a salvare un intero Paese; ha mostrato che la politica non è solo intrallazzo, ma può essere anche, come disse una volta il papa Paolo VI, la piú alta forma di amore e di servizio del prossimo; ha cosí restituito speranza e fiducia nella politica, quella vera, ad un’intera generazione che allora aveva vent’anni, la mia generazione; e in alcuni di essi, fra cui me, alimenta ancor oggi il coraggio e la voglia anzitutto di lavorare onestamente, senza pestare i piedi degli altri ma anche senza piegare la schiena; e poi di conservare l’amore per la Repubblica e la Costituzione, e di pronunciare ancora parole come libertà, giustizia, verità e pace, senza né vergognarmi quando mi guardo allo specchio in bagno (come dice il professor Sylos), né sentirmi rimbambito o ingenuo; anzi cercando di professare questi valori e trasmetterli ai figli, affidando loro, insieme alla memoria dei nonni, anche quella di Pertini partigiano e Pertini presidente.

Con questo patrimonio di memoria alcuni di loro –non c’è bisogno che siano in molti, anche per il presente ed il futuro bastano pochi giusti e coraggiosi– supereranno, illuminandoli, i tempi bui che, nonostante i miei sforzi di ottimismo, io temo di vedere all’orizzonte.

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