Quanto è nuova la nostra vecchia Costituzione

26 Ott 2004

Chissà che alla fine questa grande prova che ci aspetta attorno alla nostra Costituzione per far vincere il “no” alla riforma della Casa delle libertà, non ci faccia fare a tutti un passo avanti e che ci sveglieremo un bel giorno migliori cittadini di un’Italia migliore, più unita e più consapevole. Sul piano culturale, storico e civile, oltre che politico.
Sta accadendo infatti che nei dibattiti che già si fanno su questo tema, negli incontri organizzativi dei vari coordinamenti locali e del coordinamento nazionale stia nascendo una nuova forma di associazionismo che vede seduti insieme e uno accanto all’altro rappresentanti dei partiti di opposizione, i sindacati nazionali, le grandi associazioni storico sociali del paese, i movimenti. La posta in gioco è così alta che mi pare che ognuno stia dando il meglio di sé. Non ci sono o sono sostanzialmente inesistenti i protagonismi che tanto male hanno fatto alla politica nazionale, la discussione si sofferma subito su un interesse superiore che costringe gli interlocutori a un ragionamento che travalica ogni scopo personalistico e porta a rovistare nelle storie di ognuno (persone conosciute, vicende della nostra Patria) per trasmettere ad altri la memoria e l’impegno. Parlo, ovviamente, degli incontri tra persone e con persone. In Tv ho già visto i soliti politici dire le solite cose nelle solite trasmissioni: da alcuni di essi non c’è davvero niente da imparare.
La cosa interessante, a mio avviso, è che non c’è assolutamente nulla di nostalgico o di “vecchio” in questa esperienza.

C’è invece una gran voglia di guardare avanti con spirito moderno, per scoprire tutto ciò che di “lungimirante” (adopro una definizione usata da Franzo Grande Stevens al seminario sulla democrazia di LeG) c’è nella nostra Carta, tutto ciò che di “programmatico” (come diceva Calamandrei) essa contiene. Il disegno di una società futura globale e più giusta, in cui i diritti di tutti sono protetti e coltivati, in cui ogni uomo e donna possano dare il meglio di sé, senza ostacoli e partecipare a una democrazia aliena dal potere di pochi o di uno solo, forte di un parlamento efficiente che rappresenti davvero la volontà dei cittadini oltre il momento del voto.
Questo e altro c’è ancora da scoprire e da realizzare della nostra Costituzione. Persino il concetto di “stabilità” tanto oggi invocato dai sostenitori della riforma appare esso sì vecchio e superato. In un mondo che cambia, si trasforma e subisce “emergenze” improvvise come il nostro, che senso ha puntare tutto il sistema su un voto espresso quattro o cinque anni prima, magari su temi e programmi completamente diversi da quelli attuali in quel momento? Perché la stabilità deve essere un valore assoluto? Il premier non può forse egli sì tradire le sue promesse, non può rivelarsi totalmente inadeguato a fronteggiare l’evento? No, secondo il progetto berlusconiano, una volta votato è votato e si ha un bel dire che è stata introdotta la sfiducia costruttiva: che sfiducia è se essa non può ricevere i voti dell’altra parte, pena lo scioglimento delle Camere? A chi, a cosa serva un Parlamento ingessato una volta per tutte, legato a un voto politico che lo esautora di qualunque spazio di fare e determinare scelte politiche? La riflessione più moderna sulle forme di democrazia ci spiega che soltanto la discussione profonda di tutti i problemi fondamentali crea democrazia, non il voto popolare.
Un altro luogo comune che occorre sfatare è quello secondo il quale la Costituzione blocca lo sviluppo e la modernizzazione del Paese.

Chiedete a economisti e esperti di questioni costituzionali ed essi vi diranno che niente, assolutamente niente fu messo dai padri fondatori a frenare competitività e sviluppo di un paese moderno.
Contro questi e altri luoghi comuni la società civile si sta attrezzando in vista delle menzogne che saranno propagandate in attesa del referendum. Di questo anche si comincia a parlare nei nostri primi incontri. Insomma, questa “fatica” che stiamo facendo attorno alla Carta, attorno al concetto di democrazia, attorno alla nostra storia io penso che oggi sia utile a tutti coloro che vogliono impegnarsi su questi temi ma domani forse il servizio reso andrà oltre il referendum. Perché se è stato un errore grave dimenticarsi della Costituzione nei cinquant’anni passati, se l’insegnamento della sua origine, del suo significato e delle potenzialità future è stato delegato a pochi volenterosi (penso a singoli maestri nelle scuole di ogni genere, penso ad alcuni protagonisti dei dibattiti sulla Resistenza, alla lungimiranza di don Giuseppe Dossetti) oggi non è più cosi: oggi che siamo chiamati a salvarla, cominciamo a conoscerla davvero. Oggi tutti gli italiani dovranno sapere cosa essa è e a cosa rinunciano se passa la nuova Costituzione di Berlusconi. Oggi dobbiamo tutti spiegare che è la nostra stessa identità di italiani a diventare qualcosa di molto incerto, appeso agli umori capricciosi del governante di turno. Dobbiamo credere nella Costituzione e nella sua freschezza, nella sua lungimiranza e modernità.

Il passo che ci vogliono far fare è un approdo che sa di avventura. Non fa per noi.
Il coordinamento nazionale che il 25 ottobre è stato tenuto a battesimo nella sede della Cgil di Roma nasce con questo spirito: un “no” vistoso alla riforma, un “no” che è un minimo comun denominatore che tiene insieme anche chi pensa alla necessità di aggiustamenti futuri. Nasce con la consapevolezza che la Costituzione è di tutti gli italiani e che tutti gli italiani saranno chiamati a difenderla. Ed è in questo lavoro di appropriarci di nuovo di qualcosa che davamo per scontato, che ci faceva dormire sonni tranquilli perché ci fidavamo di coloro che ce la consegnarono a prezzo di immani sacrifici, che diventeremo forse italiani migliori. Questo lavoro va oltre la sfida attuale, e se i partiti sapranno cogliere la novità di questo grande amore e di questo grande impegno avranno fatto essi stessi un passo importante nel rinnovamento che tutti speriamo e che è l’ora di aspettarsi.
Anche il loro futuro è scritto nella nostra Costituzione.

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